La chiesa di San Francesco a Owo, Ondo, Nigeria, il 6 giugno 2022, dopo un attacco subito. Foto Reuters.
«Il convegno di oggi si svolge nel tempo di Natale, di cui noi abbiamo un'idea molto romantica, a volte sdolcinata. Evidentemente ne abbiamo trasfigurato il valore. Ma il giorno dopo la nascita del Signore, il 26 dicembre, c'è già il primo martire, Stefano, e, due giorni dopo, il 28, i martiri innocenti, quasi a significare che la nascita del Salvatore non porta pace, porta guerra, porta martirio, porta lo svelamento delle contraddizioni del vivere umano. Il Cristo è il martire con la emme maiuscola, il principe della pace viene martirizzato. Stefano viene ucciso per cause religiose, così come avviene per tanti martiri di oggi».
Ha aperto così don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana, il convegno organizzato dal Movimento Shalom sul tema dei cristiani perseguitati nel mondo, che si è svolto l'8 dicembre a Palazzo Grifoni, a San Miniato (Pisa). Dopo i saluti istituzionali, da parte di Massimo Bacchereti, segretario generale della Fondazione Cassa di Risparmio, del sindaco Simone Giglioli e di Vieri Martini presidente del Movimento Shalom, si è entrati nel vivo.
“Rompiamo il silenzio” su questo massacro, ha detto, parafrasando il titolo del convegno, don Andrea Pio Cristiani, fondatore nel 1974 di Shalom, movimento per la pace e la giustizia. Perché l'impressione generale è che i media non se ne occupino, se non quando si verifica un fatto eclatante, l'espulsione di una congregazione, l'uccisione di un missionario, una bomba in una chiesa. Appassionate le testimonianze di chi vive sulla propria pelle la persecuzione. Il nigeriano don Udoji, Julius Onyekweli, parroco di Montopoli in Valdarno, in Toscana, ha raccontato di quanto lo abbia sconvolto l'omicidio del suo compagno di seminario don Vitus Borogo, tanto da decidere di adoperarsi per sensibilizzare sul problema della Nigeria. Un Paese dove i cristiani stanno pagando un prezzo altissimo, con oltre 4.650 fedeli uccisi nel 2021.
«Troppi gruppi sfruttano la religione per perpetrare atti criminali - ha detto don Udoji -. Ma non avrebbero così tanta forza se non fossero tollerati, se non addirittura spalleggiati da una parte dell'apparato governativo. Siamo davanti ad una persecuzione di Stato contro i cristiani e contro chi non è musulmano. E questo nonostante la Costituzione sancisca la libertà religiosa». Lo Stato più popoloso d'Africa è al settimo posto nella lista World Watch dei Paesi più pericolosi per i cristiani. Ma il Burkina Faso non è da meno. «A partire dal 2016 - ha detto Kombamtanga W Charlemagne, secondo consigliere dell'Ambasciata del Burkina presso la Santa Sede -, con l'attacco al ristorante Cappuccino nella capitale Ouagadougou, ci siamo ritrovati il terrorismo in casa. Che oggi è concentrato soprattutto nel nord, al confine con il Mali, e che ha svuotato villaggi cristiani come Djibo. I terroristi arrivano e radono al suolo. Chi ce la fa, scappa. Un milione e 500mila burkinabé sono sfollati per ragioni di sicurezza. 7.500 sono le scuole chiuse, il che significa che più di un milione e 500mila bambini non ricevono istruzione. Molto praticato è anche il rapimento dei preti, sono ancora numerosi quelli in mano di questi criminali».
Altro Paese martoriato è il Niger. Ne ha parlato suor Marie Claire Koupaki, madre superiora dell'Istituto femminile dei Servi di Cristo, che ha una missione nella città di Maradi, centro commerciale lungo la rotta carovaniera che porta alla Nigeria. «L'insicurezza ha compromesso l'economia regionale - ha spiegato -. Dal 2020 al 2022 la regione ha registrato 177 attacchi da parte di individui armati non identificati, oltre a rapimenti, violenze, stupri, furti di bestiame». A tirare le conclusioni il cardinale Beniamino Stella che aveva già presieduto la messa del mattino dedicata all'Immacolata Concezione. Dopo aver parlato di martirio quale «sinonimo di testimonianza», ha concluso con una provocazione. «In uno scenario persecutorio, vale ancora la pena essere cristiani? La risposta - ha detto - è certamente affermativa, ma postula, di fronte ai martiri, l'esigenza di una fede che non sia all'acqua di rose, ma testimonianza vibrante, gioiosa, contagiosa».
Come quella dei bambini. Bambini di cui il Movimento Shalom è ricco, e che hanno rallegrato il convegno con i loro canti di Natale. «Quei bambini che non parlano di pace, la vivono - ha detto monsignor Andrea Migliavacca amministratore apostolico di San Miniato e vescovo di Arezzo -. Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai, dice il Vangelo. Impariamo da loro a fare la pace».