Stefano Vergani.
Nel mare magnum del Terzo settore, una bussola per dare valore a chi davvero se lo merita. Si chiama OLC 2015 ed è uno schema di certificazione delle Onlus, in grado di attestare che queste operino effettivamente in modo etico, sostenibile e trasparente. Non si tratta di un tecnicismo, né dell’ennesima sovrastruttura imposta dalla burocrazia. Al contrario, un sistema del genere, fondato su un criterio di terzietà, può risultare molto utile in un contesto come quello italiano, anche alla luce dei tanti scandali che recentemente hanno travolto il mondo del no profit.
Iniziamo con un dato di fatto. Nel 2000 le Onlus censite dall’Istat erano circa 20.000. Nel 2021 se ne contano oltre 360.000. Parliamo di un mondo, incredibilmente variegato e frastagliato, che va dal minuscolo al gigantesco, dalla piccola realtà di ambito locale ai colossi della solidarietà che gestiscono milioni di euro. E se è vero che le organizzazioni non lucrative costituiscono un’ossatura portante per il nostro Paese (svolgendo un ruolo insostituibile, e qualche volta eroico, a cominciare dalle aree in cui lo Stato è più assente), purtroppo è anche vero che queste realtà si sono rivelate molto permeabili al malaffare e perfino all’infiltrazione di organizzazioni criminali. Non è solo un problema di lacune normative. Spesso, ciò che manca sono i controlli. Negli ultimi anni, la cronaca ci ha mostrato di tutto. Ai tempi delle intercettazioni legate a Mafia Capitale, Salvatore Buzzi si vantava di poter fare più soldi con l’emergenza migranti che con il traffico di droga. E in piena pandemia, fondi raccolti da una Onlus per sostenere la lotta al Covid, venivano sottratti dai dirigenti e dirottati su conti esteri, con la complicità di aziende prestanome. Episodi dalla portata devastante, non solo per la gravità dei crimini in sé, ma anche per il disorientamento e la delusione che producono nell’opinione pubblica, gettando un’ombra di sospetto anche sulle realtà sane. Ecco allora l’importanza di uno strumento che permetta di discernere.
«Lavorando con un gruppo di specialisti» racconta Stefano Vergani, imprenditore, esperto del Terzo settore e coordinatore del progetto OLC 2015, «abbiamo messo a punto uno schema molto rigoroso, che consente alle Onlus, su base volontaria, di intraprendere un percorso di verifica e, in presenza dei requisiti necessari, di veder certificate la propria efficienza e attendibilità». Tutto questo nel 2015, quindi ancor prima che lo Stato avviasse l’iter di riforma del terzo settore. Il modello è stato mutuato dal mondo dell’impresa. «Quando un’azienda italiana va all’estero» spiega ancora Vergani, «ha molte più possibilità di successo se dispone di una certificazione internazionale, ad esempio del tipo ISO9000, in grado di attestarne la qualità, sulla base di standard oggettivi e riconosciuti. Perché allora non immaginare, per le Onlus, qualcosa di analogo?». Sul piano pratico, «potremmo paragonare la certificazione a una patente di guida. Si comincia con l’esame di teoria, cui fa seguito la prova pratica, per attestare che le competenze apprese vengano effettivamente applicate». Lo schema prende in esame diversi parametri, tra cui il sistema di gestione in tutti i suoi aspetti, le strategie comunicative, i meccanismi di autocontrollo. Innanzi tutto devono esserci trasparenza nella documentazione, nei bilanci, nell’organigramma dei responsabili. «Ci interessa anche valutare che la Onlus abbia una struttura moderna, sostenibile nel tempo. Oggi, infatti, per chi lavora nel Terzo settore, una delle sfide più ardue è proprio quella di capire quale nuova pelle dare alla propria organizzazione, perché continui a essere d’aiuto in un mondo che cambia in fretta». Per ottenere la certificazione, che ha una durata triennale, la Onlus deve rendersi disponibile a ricevere visite ispettive periodiche (almeno una all’anno, ma possono essere anche più frequenti, se necessario).
Lo schema OLC 2015 è di proprietà della società Aachen, che svolge un ruolo di terzietà. Non interviene direttamente nella certificazione, ma seleziona e qualifica, con un processo molto rigoroso, gli enti enti di formazione, di consulenza e di certificazione, verificando che ognuno faccia il dovuto: questo per evitare sovrapposizioni e zone grigie.
Secondo Vergani (un passato nell’Arma dei Carabinieri, esperienza che lo ha reso particolarmente sensibile al tema della legalità) «i vantaggi di un sistema del genere, in termini di credibilità e autorevolezza, sono evidenti. E i risultati altrettanto tangibili. Già nel primo anno dall’ottenimento della certificazione, vi sono Onlus che hanno visto raddoppiare i soci e decuplicare i fondi del 5 per 1000, o hanno iniziato a vincere i bandi delle fondazioni bancarie». Non parliamo solo delle organizzazioni più grandi e più note. Anzi. Esattamente come negli ecosistemi naturali, nel mondo no profit è importante tutelare la biodiversità. «In molti casi, a raggiungere i risultati più lusinghieri sono realtà piccole e magari nemmeno troppo strutturate, che hanno un forte impatto sociale sul loro territorio, ma che non vanno in televisione e non intraprendono campagne mediatiche». E tra i prossimi passi per «salvare le organizzazioni che se lo meritano» c’è anche la costituzione di un Osservatorio delle onlus, «che, grazie al coinvolgimento di 12 enti, tutti autorevoli e impegnati in attività di ricerca, offrirà una voce indipendente».