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Fraternità, anche lei nata per caso in via Gluck

19/01/2017  Nel quartiere dove abitò Celentano il parroco don Giuliano Savina ha voluto il prete copto Zaccaria Ghattas membro stabile del Consiglio pastorale. «L’ecumenismo così diventa un fatto pratico».

Padre Zaccaria Ghattas, sacerdote copto ortodosso, fa parte del Consiglio pastorale della comunità Giovanni Paolo II di Milano, che unisce le due parrocchie cattoliche di San Martino in Greco e Santa Maria Goretti. Spiega il parroco don Giuliano Savina: «È l’ecumenismo vissuto in quartiere, che è un fatto pratico prima ancora che teorico». Padre Zaccaria guida la vicina chiesa di via Gluck, la strada della canzone di Celentano. «Là dove c’era l’erba...», come cantava il Molleggiato, ora pregano i copti, una delle più numerose realtà ortodosse in città. Cristiani che parlano in arabo: il loro nome deriva da “aegyptos”, rappresentano un quinto (circa 10 mila) degli egiziani nell’area metropolitana e sono i discendenti della comunità fondata da san Marco, che evangelizzò la Terra dei faraoni. A Milano hanno dieci chiese, nei comuni della provincia la sede vescovile (Cinisello Balsamo) e un monastero (Lacchiarella).

I preti ortodossi possono sposarsi e Zaccaria, 48 anni, ha moglie e tre figli. La vicenda che lo ha portato in un Consiglio pastorale cattolico intreccia grande e piccola storia. Il mondo e il quartiere, la Bibbia e il giornale. Infatti i copti, che in Egitto contano il 15-20% della popolazione, sono spesso vittime dei terroristi, come i 25 morti nell’attentato alla cattedrale del Cairo lo scorso 11 dicembre. Racconta padre Zaccaria: «Nel febbraio 2015 i media trasmettevano le barbare immagini della decapitazione dei lavoratori egiziani in Libia. Erano copti uccisi dall’Isis perché cristiani». In quei giorni difficili un prete cattolico bussò in via Gluck: «Don Giuliano venne a portarci la solidarietà della parrocchia. Non lo conoscevamo, fece un piccolo saluto alla fine della nostra Messa e i fedeli scoppiarono in un applauso fraterno». Certi gesti non si dimenticano: «Molti di noi sono emigrati tempo fa, alcuni anche negli anni Settanta», dice Zaccaria, che è arrivato in Italia nel 1992, «ma tutti abbiamo parenti in Egitto».

SEGNO DEI TEMPI

Don Giuliano continua la storia di quest’amicizia particolare (durante l’intervista, il prete copto gli telefona e si chiamano l’un l’altro «fratello»): «Quando si trattò di eleggere il Consiglio pastorale, pensai che fosse una grande possibilità interagire con un fratello di un’altra confessione». Da allora Zaccaria è stato nominato membro e partecipa ad alcune sedute. Nel Consiglio non è l’unico segno di una comunità che si fa interrogare dalla storia: è stato eletto anche Olivier Gale, profugo ivoriano che vive in un centro d’accoglienza del quartiere.

Don Giuliano, 53 anni, fa parte della delegazione cattolica al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano; si è appena laureato («licenziato» è il termine tecnico) in Studi ecumenici a Venezia e ora svolge un dottorato alla Pontificia università antoniana di Roma. Dice: «Proprio perché l’ecumenismo è vissuto, mi sono rimesso a studiare. Siamo chiamati a viverlo nell’azione pastorale quotidiana, altrimenti i soli tavoli accademici non servono».

Anche la presenza di Zaccaria nel Consiglio pastorale non è un “francobollo”. Ci sono tanti segni che don Giuliano chiama «azioni dello Spirito in atto». Ne racconta alcuni il «fratello» ortodosso: «La scorsa estate, sei nostri ragazzi hanno fatto gli animatori all’oratorio estivo a Santa Maria Goretti e a San Martino. Molti nostri bambini delle elementari e delle medie frequentano lì il doposcuola, le loro mamme trascorrono ore in oratorio: con don Stefano, l’altro sacerdote della parrocchia cattolica, ci confrontiamo sui ragazzi con maggiori difficoltà, scambiandoci consigli su come seguirli». Allo stesso modo ogni settimana la parrocchia ospita in una sala le preghiere dei battisti cinesi (protestanti, un’altra realtà significativa della zona), don Giuliano spesso invita i responsabili delle altre confessioni cristiane a tenere incontri e negli anni ha proposto pellegrinaggi ecumenici in Armenia, in Germania sulle orme di Lutero, a Gerusalemme.

PARTIRE DA CIÒ CHE UNISCE

  

A Greco vivono molte famiglie egiziane: i genitori lavorano soprattutto in panetterie, pizzerie, ristoranti, nell’edilizia e nelle pulizie. Un Natale, alla fine della Messa, don Giuliano ha distribuito a tutti i fedeli il pane fatto dal fornaio egiziano del quartiere, con la croce copta (caratterizzata dai segni dei quattro chiodi) incisa nel panino. Continua Zaccaria: «Poco tempo fa, i ragazzi cattolici delle medie, nel loro percorso di catechismo, hanno visitato la nostra comunità, dove abbiamo fatto un incontro sui sacramenti, che sia per i cattolici che per gli ortodossi sono sette». In via Gluck molti loro coetanei sono nati in Italia, sono le cosiddette “seconde generazioni”. Per questo, «le nostre Messe», spiega il prete copto, «mischiano più lingue: per il 10% in antico copto, il resto metà arabo e metà italiano. Il sabato però, quando c’è la Liturgia per i ragazzi, è soprattutto in italiano».

RIUNITI NEL NOME DI GESÙ

Padre Zaccaria, quasi commosso, ci parla dell’amicizia con «il fratello» cattolico in questi termini: «Gesù dice: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Alle nostre comunità proviamo a far vivere questo insegnamento nel quartiere che abitiamo insieme».

Alla fine della nostra conversazione, a don Giuliano chiedo invece come spiega le divisioni tra le Chiese. «Non sono solo a causa della fragilità umana», mi risponde, «ma custodiscono un mistero, quello che Paolo indica con l’indurimento del cuore, un mistero che ci coinvolge tutti, perché nessuno può arrogarsi il diritto di affermare di essere dalla parte giusta, ma tutti possono riconoscere che anche nell’altro, così come insegna il concilio Vaticano II, brilla la luce dello Spirito a volte più luminosa».

Bisogna pregare e tendere all’unità tra i cristiani, ma «l’ecumenismo vissuto dice che è possibile sostare nella divisione che la storia ci ha trasmesso e che ci chiede oggi di assumerci la responsabilità coraggiosa di cercare vie percorribili di riconciliazione. Abitare nella divisione ci rende tutti più umili, meno arroganti e più disponibili a soffrire insieme, come nel nostro quartiere tentiamo di fare accanto alla comunità copta che “ha messo le tende in mezzo a noi”».

PAROLA CHIAVE. ECUMENISMO

  

Dal 18 al 25 gennaio si celebra in Italia la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che prevede varie iniziative ecumeniche. L’ecumenismo è il movimento nato all’inizio del Novecento e sviluppatosi nella Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II (cui dedicò il testo Unitatis redintegratio), che vuole favorire il riavvicinamento delle diverse confessioni cristiane che si sono separate nel corso della storia, per ricondurle ad unità. L’ecumenismo non va confuso con il dialogo interreligioso che riguarda invece i rapporti della Chiesa cattolica (e delle varie Chiese cristiane) con le altre fedi, in primis l’ebraismo e l’islam (che hanno in comune la discendenza spirituale da Abramo) e poi tutte le altre quali il buddhismo, l’induismo e il taoismo.

Foto Fabrizio Annibali

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