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giovedì 19 settembre 2024
 
Il rapper
 

«Vengo dal Marocco, vivo a Milano e ho portato in Italia la trap»

08/02/2019  Sul palco di Sanremo va in scena il rap, da Achille Lauro, a Shade e Rancore. E su queste numero di Famiglia cristiana la nostra inchiesta per capire il fenomeno che sta spopolando tra i ragazzi. Per l'occasione abbiamo intervistato Ma Rue, un rapper milanese con una vita avventurosa che racconta in un libro: il suo legame con la mamma, la musica come strumento di riscatto e integrazione

La sua vita è un racconto mozzafiato, colpi di scena, rapimenti, viaggi e ritorni. Oussama Laanbi nasce nel 1992 a Berrechid, in Marocco, ma si trasferisce dopo pochi giorni con i genitori in Italia. Oggi vive a Milano, si fa chiamare Ma Rue (la mia strada), prima ancora Maruego (Marocchino) ed è stato il primo a importare il trap, il rap elettronico che fa impazzire i ragazzini e non solo. Musica, passione, tenacia, una storia che l’artista raccoglie in un libro scritto con Davide Piacenza “Autotune” (Bompiani).
Cominciamo dai rapimenti.
«Non li definirei tali, i miei si stavano separando e mio padre, Salah, decise di portarmi in Marocco contro la volontà di mia madre, avevo tre anni. Dopo sei mesi una donna mascherata mi prelevò all’uscita della scuola e mi portò con sé. Quando riuscii a strapparle il velo mi accorsi che era mamma, siamo subito venuti a Milano. Il più bel ricordo della mia infanzia è stata la prima estate trascorsa laggiù, a otto anni, con i nonni materni, la bisnonna, gli zii, mamma ha dieci fratelli, e tantissimi cugini con cui giocavo».
Parla spesso di sua madre Nadia-Latifah. 
«E’ la persona più importante della mia vita, ha lottato per me. Per anni le ho dato solo preoccupazioni, oggi è fiera di ciò che faccio. Temeva che diventassi come mio padre, un uomo inaffidabile. Quando sono stato arrestato ho visto il suo sguardo cambiare, non mi vedeva più come un figlio che sta crescendo ma come un adulto. Questo mi ha ferito, dovevo cambiare». 
Quali sono stati, secondo lei, i maggiori disagi che ha conosciuto in Italia?
«Essere arabo, non ho le vostre tradizioni, credo in Allah. Ogni anno a scuola si organizzava la recita di Natale. Mi sentivo a disagio a cantare le canzoni, soprattutto se in sala c’era mia madre, è praticante ma non rigida, mi ha insegnato a essere aperto al mondo. Un altro problema me l’ha dato il mio nome, Osama, dopo l’11 settembre 2011, tutti mi prendevano in giro».
Immigrazione e integrazione. Cosa ne pensa?
«La gente è spaventata, l’Italia sta cambiando. La città in cui vivo, Milano, è multiculturale, non è razzista. Quand’ero bambino ci chiamavamo vu cumprà, oggi ci riconoscono un’identità, arabo, cinese, africano, Nord africano. Io mi sento marocchino e italiano ma se potessi vivrei in giro per il mondo, lavorando un po’ di qua e un po’ di là. Non ho ancora preso la cittadinanza italiana più per pigrizia che altro».
Come vivono il suo successo i suoi cugini?
«Con affetto, hanno altri valori, mi vogliono davvero bene. Sono spensierati, non si interessano all’ultimo modello di cellullare, né trascorrono le giornate connessi. Da noi devi solo apparire, possedere. Devi essere sempre il numero uno, è terribile».
Si è riconciliato con suo padre?
«Ogni volta vado in Marocco cerco di incontralo anche se non se lo merita. Provo a capirlo, a immedesimarmi in lui. Nessun padre può vivere senza rivedere suo figlio, dovesse capitare a me ne morirei».
Chi sono i suoi amici?
«Quelli veri? Simone, è stato il primo bambino italiano a invitarmi a giocare a casa sua. Nicola anche lui era in classe con noi. Insieme partiamo fra qualche settimana per il Marocco, sarà una bella una vacanza. E poi c’è Eros Caliandro, il mio socio, con lui ho aperto lo studio di registrazione, è un leghista ma crede in me. Facciamo musica non politica».
E adesso c’è Martina.
«La mia sorellina, ha sette anni, l’adoro e lei parla a tutti di me. Ama ballare, cantare, magari scrivo un pezzo per lei e lo inserisco nel prossimo album».
Cos’è il trap?
« E’ il rap, solo che ci hanno messo la T davanti. Stesse regole: una storia, la rima perfetta, devi aver qualcosa da dire per interessare chi ti ascolta. Sono stato il primo a portarlo in Italia ma non è stato capito, ero troppo in anticipo. Adesso spopola». 
Com’è arrivato alla musica?
«Facevo il macellaio e intanto scrivevo brani su brani, finché uno di questi “Cioccolata” è stato trasmesso su alcune radio. Ho lasciato il lavoro e mi sono buttato nel rap».
Tornasse indietro cosa non rifarebbe?
«Tante cose, sarei più selettivo con le persone e non lascerei la scuola prima del diploma. Solo da pochi anni ho scoperto quanto mi piace leggere».

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