Tutte le società, a partire da quelle antiche e tribali, si sono inventate una forma di processo, per quanto rudimentale, verrebbe da dire per” legittima difesa”: per arginare la spirale di vendette private che le avrebbe fatte implodere in breve. Ci sono voluti millenni per imparare a processare nel rispetto della dignità dell’uomo, secoli per mettere in questione la pena di morte, ancora così vigente nel mondo non senza contraddizioni; anche negli Stati Uniti che si propongono al mondo come modello di democrazia e civiltà.
Come tanti Paesi, compreso il nostro, faticano ad affrancarsi dall’emotività di quella che oggi si usa chiamare la pancia: il bacino emotivo e profondo, più o meno ampio, di cui si cerca bene o male il consenso, elettorale.
Ieri sera abbiamo visto il primo anello di quella potenziale spirale di vendetta materializzarsi nelle nostre case all’ora di cena, in un video (diffuso dall'emittente locale 50 canale, nella foto un fotogramma), registrato dall’occhio gelido di telecamere di sorveglianza a Viareggio: ha mostrato la sequenza della morte di un uomo che si vede di spalle mentre cammina e che viene investito e ucciso dalla corsa di un suv che lo ha schiacciato più volte contro una vetrina, andando avanti e indietro, prima di lasciar scendere una donna vestita con eleganza che, dal lato del guidatore, è uscita dall’auto, si è ripresa qualcosa, per poi risalire in macchina e ripartire. Per fortuna, absit iniuria verbis, le telecamere hanno registrato: aiuteranno a ricostruire e a discriminare. In assenza sarebbe difficile anche distinguere tra una vendetta e un incidente stradale.
Sono immagini brutali, che ci costringono a guardare nell’abisso scuro dentro di noi, a visualizzare il rischio che corriamo se lasciamo andare la deriva che ci porta a rimettere in questione le conquiste della nostra civiltà per regredire a uno stadio precivile.
Scopriremo poi che quell’uomo era senza fissa dimora, senza permesso di soggiorno, già espulso più volte: una vita sbandata, con diversi precedenti penali, ma la vita di un uomo. Scopriremo che aveva scippato, forse rapinato, forse minacciato, la donna alla guida del suv, evidentemente in un momento precedente all'investimento. Scopriremo che la donna, una signora di 65 anni che gestisce un noto stabilimento balneare a Viareggio, è stata fermata con l’accusa di omicidio volontario e posta in custodia cautelare ai domiciliari. Il procedimento farà il suo corso.
La contestazione dell’omicidio volontario si spiega con il fatto che la difesa è legittima solo se è davvero difesa, e cioè se ci si difende da un pericolo attuale e in modo proporzionato all’offesa: Un conto è colpire anche rischiando di uccidere per difendere la propria vita o quella altrui minacciata, altro è farlo per difendere un bene materiale. E se si agisce quando l’attualità del pericolo è cessata, quell’atto travalica i limiti della difesa e sconfina nella vendetta. Fin qui la regola generale e astratta, spetterà, poi, a chi indaga ricostruire la dinamica della vicenda singola che ha già distrutto almeno due vite e al processo decidere.
Spetterebbe invece subito alla politica, che ha la titolarità delle politiche sulla sicurezza ma anche il dovere di rispettare le istituzioni in cui opera, non soffiare sul fuoco e occuparsi di ciò che le compete. Sarebbe anche il caso che, per responsabilità, limitasse le affermazioni incaute, se non altro per evitare che qualche cittadino, in un momento di esasperazione, si convinca che i limiti della difesa legittima siano più laschi di come sono in realtà.
Le affermazioni rilasciate da Andrea Crippa Vicesegretario della Lega vanno invece in direzione ostinata e contraria: «Premetto che la violenza va sempre condannata», ha affermato ad Affariitaliani, «detto ciò, Cinzia Dal Pino ha probabilmente agito in quel modo perché in Italia tra la popolazione c'è la percezione della scarsa, se non inesistente, giustizia e certezza della pena». «Il fatto che questo ladro, così va definito, fosse un algerino (cosa da dimostrare ndr), tra l'altro già conosciuto alle forze dell'ordine e questo la dice lunga sull'impunità che regna sovrana nel nostro Paese, non conta. Sarebbe potuto essere anche un islandese o un giapponese. Il punto è che la signora Dal Pino non può essere accusata e indagata per omicidio volontario». «La magistratura deve assolutamente tener conto del contesto, della situazione molto particolare e della paura che certamente questa signora aveva in quel momento. Tutte attenuanti che vanno ben tenute presenti. Purtroppo la totale assenza della certezza della pena e la praticamente totale assenza di fiducia degli italiani nella giustizia porta a fatti di questo tipo. Prima di condannare la signora va quindi valutato bene il caso e occorre riflettere sul perché di tale gesto. Che va ricercato nell'incapacità della magistratura italiana di far sentire sicuri i cittadini di questo Paese».
Contengono almeno tre cose che non tornano: 1. In Italia vige la separazione dei poteri: un vicesegretario di partito non ha titolo per dire alla magistratura quale reato contestare e come trattare aggravanti e attenuanti. Montesquieu è acquisito da tre secoli. 2. La paura, in mancanza dell’attualità di un pericolo, e la sfiducia nella giustizia non sono tecnicamente scriminanti, e farlo credere serve solo a confondere i cittadini e a metterli in condizioni di inguaiarsi. 3. Non tocca alla magistratura far sentire sicuri i cittadini: il suo compito è perseguire i reati già commessi. Le politiche di sicurezza si chiamano così perché competono alla politica: a proposito, sarà mica il caso di interrogarsi sull’efficacia di tante promesse di espulsioni che con ogni evidenza restano tali perché sono facilissime da annunciare sulla carta e difficilissime da attuare?
Ma soprattutto sono parole che inducono a schierarsi da una parte che non è quella, avrebbe detto Cesare Beccaria, "della causa dell’umanità" e che come tale presuppone un barlume di ragione e sentimento. Si sa che talvolta slogan e social li mettono da parte in nome di qualche voto e di qualche clic. Eppure basterebbe chiedersi quale sarebbe stata la reazione della Rete se al posto di quell’uomo schiacciato ci fosse stato un cane o un gatto, per interrogarsi sulla deriva che stiamo prendendo e che non sarebbe il caso di fomentare. Tutti sappiamo, dai tempi della tragedia greca, che la rabbia può accecare e far perdere la ragione al singolo (che poi è chiamato a risponderne secondo legge), ma proprio per questo chi vi assiste (politico, spettatore, follower) ha il dovere di tenere gli occhi aperti e la lucidità in servizio.