In questi mesi la Chiesa sta vivendo un momento di grande attenzione alla famiglia. Francesco ha indetto l’Anno Famiglia Amoris laetitia, a cinque anni dall’uscita della sua Esortazione (19 marzo 2016), che si concluderà con l’Incontro mondiale delle famiglie (Roma, 22-26 giugno 2022). E in questo mese ricorrono i quarant’anni dalla Familiaris consortio (22 novembre 1981), consegnata da Giovanni Paolo II alla Chiesa nel quarto anno di quello che sarebbe stato uno dei più lunghi pontificati della storia. E che avrebbe caratterizzato, in modo decisivo, gli anni seguenti. Già questa è una prima grande continuità tra i due Papi: la consapevolezza che la famiglia è talmente nel cuore della Chiesa, che deve essere in cima all’agenda delle priorità. Anche Francesco ha collocato l’Amoris laetitia all’inizio del proprio magistero, chiamando la Chiesa a un grande sforzo di riflessione, dialogo e condivisione.
In entrambi i documenti è punto decisivo la qualificazione della famiglia come soggetto ecclesiale, protagonista attivo, non destinatario di indicazioni, regole e precetti. O peggio, come “cliente di servizi religiosi”. In sintonia con le origini e la vita delle prime comunità cristiane, dove la Chiesa si costruiva e si radunava nelle case e nelle famiglie, Wojtyla e Francesco affidano alla famiglia il compito di rigenerare la Chiesa. A partire dal richiamo di Giovanni Paolo II: «Famiglia, diventa ciò che sei! [...] la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» (FC 17). Per arrivare allo stesso incipit di Francesco per l’Amoris laetitia, quando ricorda che «La gioia dell’amore della famiglia è anche il giubilo della Chiesa» (AL 1).
Il richiamo era forte e chiaro in entrambi i documenti: alla Chiesa viene chiesto di diventare sempre di più “famiglia di famiglie” e casa per ogni famiglia. Alle famiglie il compito di costruire e rigenerare la Chiesa, fatta dai fedeli. La loro vocazione si concretizza nell’esperienza elementare della famiglia. Sollecitazione che risuona in sintonia con le parole che Francesco d’Assisi ascoltò a San Damiano: «Francesco, va’ e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!».
D’altra parte, la rigenerazione della Chiesa da parte delle famiglie non è ricostruire strutture – come per san Francesco non era ricostruire la chiesetta di San Damiano –, ma è, prima di tutto, bonificare le relazioni nella famiglia, riscoprire la dimensione generativa dell’amore tra uomo e donna nel matrimonio come vocazione. Fare famiglia significa costruire un popolo. E ciò riguarda sia la Civitas terrena sia, a maggior ragione, la Civitas Dei, la comunità dei credenti.
Oggi è più facile leggere le discontinuità e le differenze tra i due documenti, che su alcuni punti sono reali. E che spesso sono esasperate da una narrazione – non sempre in buona fede – che preferisce accentuare le contrapposizioni intraecclesiali. È chiaro che in questi quarant’anni ci sono stati grandi mutamenti sociali, culturali, politici, ecclesiali. Il linguaggio stesso è radicalmente mutato. Basta rileggere i punti 79-85 della Familiaris consortio, dedicati all’“Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari”, certamente diversi rispetto all’approccio pastorale dell’Amoris laetitia in tutto il capitolo ottavo. Tuttavia, una lettura attenta di Amoris laetitia conferma l’esplicita intenzione di Francesco di porsi in continuità con quanto la Chiesa aveva chiamato a testimoniare dal 1981 in poi. Non a caso è proprio la Familiaris consortio il documento più citato (23 volte) nell’Amoris laetitia (se si escludono le citazioni degli Instrumentum laboris sinodali).
Questa “differenza in sintonia” si può capire meglio rileggendo come i due documenti richiamano le famiglie ad allargare la propria responsabilità di bene comune a una presenza e testimonianza nella vita pubblica. E alle sue sfide complesse. Giovanni Paolo II richiamava le famiglie a un impegno diretto in ambito politico: «Le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate a osservare con indifferenza» (FC 44).
Francesco, a sua volta, evidenzia la necessità che “la vita buona del Vangelo” nelle famiglie diventi sale e lievito nella società: «Con la testimonianza, e anche con la parola, le famiglie parlano di Gesù agli altri, trasmettono la fede, risvegliano il desiderio di Dio, e mostrano la bellezza del Vangelo e dello stile di vita che ci propone. Così i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società» (AL 184). Due stili di presenza nel mondo, unico lo scopo: che la famiglia diventi generatrice di bene per tutti.
* Direttore Cisf (Centro internazionale studi famiglia)