Si chiama Villaggio solidale. Dentro tutti. Ci si rimbocchi le maniche e si cominci. Dall'11 al 14 aprile Lucca ospita il Festival nazionale del volontariato, quattro giorni di incontri, convegni e momenti d’animazione che mettono al centro una delle attività più impegnative e importanti dell’Italia tutta ma troppo poco presente nell’agenda politica ed economica del Paese. Tanto per capirci: quando una città offre e accoglie 400 relatori, un migliaio di volontari e 150 organizzazioni varie, con più di cento appuntamenti culturali, non si parla più di un microsettore che si ritrova e si compiace delle proprie attività, ma di un fenomeno sempre più imponente e importante. E allora, sarebbe facile dedurne che in Italia la situazione del volontariato, che chiama in causa direttamente le politiche di welfare, dovrebbe essere buona, molto buona, ottima.
Invece no. Anzi, sta per suonare l’allarme rosso sulle politiche di welfare dello Stato e degli enti locali. La situazione è davvero difficile e lo conferma una delle relatrici dei convegni lucchesi di questi quattro giorni, Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, che traccia un primo quadro della situazione nazionale partendo dal punto di vista delle donne.
Che il welfare in Italia sia stato sempre delegato al senso di responsabilità delle famiglie lo sapevamo già, ma Sabbadini mette a fuoco, in particolare, la situazione delle donne nella famiglia rispetto al problema delle “cure” nei riguardi di chi ha bisogno. Dice Sabbadini: «È in atto un processo di rimozione collettiva della centralità del problema della cura dei soggetti deboli in questo Paese. Nessuno si pone più questo problema. Ci sono altre priorità, si dice, di ordine economico, ma questo è, appunto, un problema economico. I cambiamenti del ruolo della donna nella famiglia e nella società hanno, di fatto, creato un problema: quello della cura delle persone più deboli all’interno della famiglia, dai disabili ai parenti anziani, ma anche ai giovanissimi».
«Oggi la donna», continua Sabbadini, «rispetto a un passato anche recente, ha meno ore a disposizione per quelle che chiamiamo “cure” di chi è debole: studia, lavora e, oltre tutto, deve anche farsi carico del lavoro della casa. La donna non ha più il tempo che aveva prima. Dunque, il cambiamento della posizione della donna cambia anche l’idea di welfare. Chi ha bisogno di cure che non può dipendere solo dalla famiglia e dalle donne in particolare. E allora ecco che possiamo dire che è in atto un processo di rimozione collettiva della centralità del problema della cura dei soggetti deboli in questo Paese. Nessuno si pone più questo problema. La disponibilità di cura familiare non può che diminuire (oggi le famiglie in maggioranza sono strutturate da uno o due o al massimo tre persone), su poche persone si carica il bisogno d’assistenza, ora non è più possibile».
Un quadro pesante che diventa allarmante: «Certo: più il tempo passa più i problemi si cronicizzano e si aggravano. Qualche
cifra: tre miliardi di ore in una anno è il numero di ore di cura
prodotte dalle donne all’interno della famiglia (genitori anziani,
parenti disabili, nipoti, ecc). Cosa succederà quando queste ore
obbligatoriamente diminuiranno? Lo spazio che si apre deve essere
coperto da qualcuno. Ma se non viene coperto, per conseguenza aumenterà
l’emarginazione sociale di quei segmenti ancora non emarginati, per
ora».
Che fare, dunque? «Quanto più ci si impegnerà su questo terreno; quanto
più coerenti ed effettive saranno le risposte, tanto più la società
procederà in modo armonico. Se invece rinvieremo la soluzione del
problema, e quanto più le risposte saranno contraddittorie, tanto più i
problemi potranno esplodere e si diffonderanno sentimenti di sfiducia
sia individuali sia sociali, sia di capacità politica. Non si può
continuare a dire che i soldi non ci sono e le priorità sono altre. Welfare vuole
dire anche questo: investire sulla cura di chi è più debole. Le nostre
priorità devono essere riviste, risparmiando su altri fronti e
rimettendo al centro questi aspetti».
Sabbadini vede rosa o è pessimista? «La percezione che ho è che non ci siano strategie nuove. Se le donne e anche le politiche di welfare si ritraggono, l’emarginazione sociale aumenterà. Insomma,
la solidarietà è una vera risorsa ma deve essere accompagnata da una
politica seria. Non affrontare il problema della cura e non dargli
centralità significa avere dei costi sociali e, poi, nel tempo,
economici enormi. E più si rinvia il problema più il problema
aumenterà».
Sembra un Paese per giovani. All’improvviso, così, dal nulla, anzi dalla depressione degli ultimi anni sbucano i ragazzi, e tutti interessati al volontariato. Liceali, universitari e persino studenti delle medie inferiori accompagnati da insegnanti che, al contrario di quanto generalmente si crede, non è proprio vero che non facciano molto per i nostri ragazzi, così come la vulgata degli ultimi anni ha cercato di far credere.
Nel Real collegio di Lucca, sede del Festival del volontariato, tra le molte sale dove si tengono i convegni e il chiostro di fianco alla chiesa di san Frediano, dove i molti stand presentano le proprie credenziali, ecco che molti ragazzi passano, ascoltano i relatori, prendono appunti, poi passeggiano da uno stand all’altro, firmano appelli, chiedono informazioni perché vogliono sapere, acquistano prodotti il cui devoluto poi andrà a far parte di quelle somme con cui le associazioni di volontariato si sostentano. Alcuni acquistano le t-shirt di Made in jail, associazione di volontariato del carcere di Rebibbia, a Roma. Da oltre dieci anni Made in jail ha organizzato un laboratorio di serigrafia per i detenuti con lo scopo di favorire il reinserimento nel mondo del lavoro di chi oggi, come ironicamente qualche ragazzino afferma, “abita le patrie galere”. E i soldi che si ricavano dalla vendite di spiritose ma ben confezionate magliette serve a ripagare chi partecipa ai corsi di serigrafia.
Amnesty International e Libera sono tra gli stand più visitati – e questo era quasi scontato - mentre qualcuno si concede uno spuntino a base di ottima cioccolata di Modica, messa in vendita dall’associazione Casa don Puglisi. Né mancano gli iscritti a corsi di lettura veloce, perché, ci dice uno studente universitario, “il tempo è sempre poco e imparare a leggere rapidamente mi consente di utilizzare un po’ di ore anche per il volontariato”. E sempre i giovani sono fra i partecipanti della Staffetta della solidarietà, una corsa di 4,3 chilometri che si snoda lungo il perimetro delle splendide mura lucchesi. Hanno aderito all’iniziativa 56 tra società sportive, associazioni di volontariato e scuole. La staffetta da portare è una fiamma stilizzata che vuole identificare il percorso di solidarietà nel passaggio da un’organizzazione a una scuola, camminando, correndo, utilizzando biciclette e pattini, mostrandosi a tutta Lucca in una corsa non competitiva che dura dalla mattina al tardo pomeriggio. E che si ripeterà per tutti i giorni del Festival.