“Sappiamo tutti che, l’indomani del voto, anche se stravincessero i ‘sì’, il Veneto non avrebbe, in automatico, l’autonomia. Quello di domenica è un referendum consultivo. Ma a quei lazzaroni che dicono si tratti di un voto fasullo, rispondo che dal 23 ottobre, se avremo un sì plebiscitario, potremo andare a Roma a far pesare questa volontà”.
Parola di Luca Zaia, governatore del Veneto, il grande artefice del referendum per l’autonomia veneta che si celebrerà il 22 ottobre prossimo, in concomitanza con la consultazione “gemella” in Lombardia. “Prima o poi si capirà che una democrazia matura non ha nulla da temere dai referendum” e cita la Svizzera “dove se ne fa uno all’anno, su tutti i temi possibili”.
Il governatore leghista ci crede: la lunga marcia verso l’autonomia (morta e sepolta da lustri la “secessione”), nonostante la sterzata di Salvini verso una Lega “nazionalista”, sembra poter arrivare a un primo importante traguardo politico. “Sta prendendo forma un sogno che, noi veneti, culliamo da una vita”, afferma. “Questa è la terza volta che la nostra Regione chiede un referendum in 25 anni. Stavolta ce l’abbiamo fatta in virtù di una sentenza della Corte costituzionale. E’ un referendum vero, che non ha nulla a che vedere con quello catalano, sia per modalità, che per oggetto. Lo ripeto ancora: il nostro progetto d’autonomia non mette in discussione né unità d’Italia, né confini”, si premura di precisare.
Sulla vicenda catalana, Zaia non salva nessuno: “Anzitutto c’è stata una pessima la gestione del governo di Madrid. Londra s’era comportata assai diversamente con gli scozzesi che chiedevano l’indipendenza, col risultato che li ha sconfitti con le armi della politica. Con il suo comportamento, Mariano Rajoy non poteva fare spot migliore per l’indipendenza catalana. Non si gestisce la democrazia coi manganelli. Sembra tornato il 'franchismo'. Risultato: la Catalunya di fatto, se non di diritto, è già persa”. E l’Unione europea? “E’ stato imbarazzante e lo è tutt’ora il suo silenzio. D’altra parte siamo purtroppo abituati alla latitanza dell’Europa: vogliamo parlare dell’assenza di risposte rispetto al dramma delle morti dei profughi in Mediterraneo? La verità è che questa Europa, così com’è, non serve a nulla”.
Tornando al referendum di domenica prossima, gli oppositori al voto hanno accusato Zaia di dilapidare 14 milioni di denari pubblici per una consultazione inutile. “E’ stato il governo a volerli spendere, negandoci sempre l’election-day”, risponde. “Avessimo votato assieme a un’altra consultazione elettorale, come chiesto, li avremmo risparmiati tutti”.
Molti osservano, poi, che alla base del referendum starebbe un’illusione, volutamente alimentata dai sostenitori del voto: quella cioè che il Veneto, con l’autonomia, diventerebbe come Bolzano. Zaia non si scompone: “In realtà se ottenessimo di poter gestire tutte e 23 le materie che oggi sono a competenza concorrente tra Roma e Venezia, di fatto, diventeremmo come il Trentino-Alto Adige. E noi andremo a Roma, il giorno dopo il voto, a chiedere tutte le competenze”. Per la cronaca: Trento per conquistarsi la sola competenza in materia di istruzione impiegò ben sette anni.
Sulle “specialità” attribuita a sole cinque Regioni, Zaia ricorda Luigi Einaudi che nel lontano 1948 parlava di Risorgimento compiuto solo quando tutti avranno ottenuto la loro autonomia. “A oggi, quindi, è decisamente incompiuta”, commenta. E, udite udite, cita sull’argomento addirittura il comunista Giorgio Napolitano: “L’autonomia è auspicabile perché vera assunzione di responsabilità”. E quindi arriva l’affondo: “Questo Paese è un colabrodo con i conti perché non ci sono più responsabilità nei centri di spesa. Si sprecano, in questo modo, 30 miliardi di euro l’anno, che è un terzo dell’interesse sul debito pubblico. Com’è possibile che in Veneto, dove la sanità è la migliore d’Europa, contemporaneamente ci troviamo un’istruzione pubblica che invece è da Repubblica delle banane? L’effetto territoriale avrà un suo peso nella gestione delle competenze, o no?”. Per il governatore l’era dei veti alla “devolution” è finito e si è “ormai entrati nel tempo dell’autonomia a geometria variabile”.
Ma, se il 22 ottobre i veneti disertassero il voto e non si raggiungesse il quorum? Che farebbe Zaia? Si dimetterebbe? “No. Questo non è il referendum mio o della Lega, ma quello dei Veneti”, risponde. Ha comunque più volte dichiarato che sarebbe un fallimento, se un veneto su due restasse a casa. Ma rifiuta pericolosi paralleli con Renzi e il referendum sul senato. “Certo, ammette, se l’affluenza alle urne fosse fiacca, a Roma si spancerebbero dalle risate”. Come dire: nel caso sciagurato, non sarò io a perdere, ma saranno i Veneti. Amen.