Il professore Marco Lombardi
Sanremo comincia tra una settimana me le polemiche sono già divampate. Riguarda la “presenza”, con un messaggio videoregistrato, di Volodymyr Zelensky durante la serata finale del festival e a pochi giorni dal primo anniversario della guerra scatenata in Russia da Putin.
È giusto, in un momento di aggregazione collettiva come Sanremo, accendere un faro sul conflitto? I partiti si dividono tra chi lo giudica opportuno e chi no. Amadeus tira dritto: «Deve essere un messaggio di pace, andrà in onda nella serata del sabato dopo le ventotto esibizioni dei cantanti in gara. Comprendo e non mi meraviglio che il suo intervento possa dividere, ma tutte le guerre sono orribili e abbiamo il dovere di non dimenticarlo». Ha fatto discutere la scelta della Rai di sottoporre il contributo video di Zelensky - che dovrebbe durare un paio di minuti - al controllo preventivo, per evitare profili di criticità per l'azienda. Della questione si è discusso lunedì scorso nel Cda di Viale Mazzini e alcuni consiglieri hanno chiesto chiarimenti su una vicenda rilevante dal punto di vista editoriale. «Che sia affidato alla burocrazia della Rai il controllo di ciò che Zelensky dirà a Sanremo è una notizia che non so se sia più ridicola o deprimente», ha commentato sul suo profilo Facebook Pier Ferdinando Casini.
L'intervento di Zelensky, oltre a far storcere il naso a diversi schieramenti politici, ha mobilitato intellettuali, personaggi dello spettacolo e associazioni e si prepara a movimentare anche la giornata di sabato 11 febbraio, con le manifestazioni annunciate in Riviera da parte di pacifisti e di ucraini a sostegno del loro presidente. E l'associazione "Un Ponte per..." ha scritto ad Amadeus per chiedergli di invitare al festival «gli obiettori di coscienza russi e ucraini»: la loro testimonianza, «espressa a rischio della vita e della propria libertà», si sottolinea, è stata «completamente ignorata dalla tv pubblica e dal sistema mass mediatico italiano ed europeo».
Fa bene Zelensky ad andare a Sanremo o il contesto, uno spettacolo musicale, rischia di depotenziarne il messaggio? «Bisogna fare due premesse prima di rispondere a questa domanda», dice il professore Marco Lombardi, sociologo dei media e docente di Teorie e tecniche della comunicazione mediale e Comunicazione e informazione per la sicurezza all’Università Cattolica di Milano, «la prima riguarda il conflitto russo-ucraino: siamo in piena guerra cognitiva, la prima pienamente digitale, che si caratterizza per l'impiego specifico, diffuso e pervasivo della comunicazione. Se si fa attenzione, dal campo di battaglia le prospettive si moltiplicano e si sovrappongono al punto che, non potendo rinunciare a “sapere” il cittadino rinuncia alla verità per credere alla fonte, al marchio, in cui ha fiducia. È una drammatica guerra tra tifoserie digitali».
La seconda premessa riguarda Sanremo, «che è anche il festival della canzone italiana. Ma da sempre, non solo quello», aggiunge il professore, «quei milioni di spettatori sono il pubblico adatto per fare passare i messaggi strategici utili ma a chi? Allo Stato? Al potere? Ai media? Vedete voi. Il punto è che a Sanremo, tra e con una canzone e l'altra, non si perde l'occasione di orientare il pubblico italiano. È così da sempre. Le due premesse, messe insieme, rendono scontato Zelensky all’Ariston. Banale, atteso, discutibile per tutto e per tutti. Tanto che, a chi interessa lo spettacolo in sé, l’inevitabile discussione conseguente all’invito sia il reale obiettivo cercato. Non altro».
Sulla disponibilità di Zelensky a intervenire al festival, l’evento mediatico per eccellenza dell’Italia, uno dei Paesi che sta sostenendo Kiev anche con l’invio di armi, Lombardi non è sorpreso: «Il presidente ucraino è ancora un uomo di spettacolo, per alcuni un presidente da avanspettacolo, in ogni caso sa usare la comunicazione del circo mediatico e bellico. Tocca a lui valutare i rischi della sovraesposizione a cui potrebbe arrivare».
E sulle polemiche politiche a cavallo tra il Parlamento e la Rai? «Le simpatie politiche della discussione sanremese», risponde Lombardi, «si sovrappongono e si confondono rispetto alla scelta tra le parti in gioco, tra la dimensione personale (Zelensky) e quella collettiva (popolo ucraino). Ma nessuno ha cambiato posizione: se era scontato Zelensky a Sanremo, sono scontate le firme sulle narrative a commento del suo prossimo spettacolo».
L’intervento del presidente ucraino è l’ennesimo capitolo della guerra mediatica in corso? «È coerente con l’uso strategico della comunicazione in guerra: costi quel che costi si deve confermare la propria posizione», conclude Lombardi.