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Alessandro Pittin, a Torino 2006, c’era già: ripescato all’ultimo nella combinate nordica (sci di fondo e salto con gli sci) ebbe il pettorale numero uno di tutta l’Olimpiade. Aveva 16 anni e davanti l’orizzonte dei pionieri, in una disciplina per l’Italia fin lì priva di tradizione olimpica. Avrebbe raccolto quattro anni dopo a Vancouver, con un bronzo, l’unica medaglia olimpica azzurra nella specialità, un pronostico improbabile che Fc intuì e di cui va ancora fiera.
A 100 giorni da Milano-Cortina, che si apre il 6 febbraio 2026, sogna la sua sesta Olimpiade, più in casa di allora, dato che dalla Carnia, mettendo su famiglia, s’è trasferito in Val di Fiemme dove si terrà la gara olimpica.


Pittin, non capita facilmente di vivere due Olimpiadi nel proprio Paese. Com’è cambiato il suo spirito, quanto è diversa l’attesa?
«Avevo 16 anni, ora 36, là era l’inizio qui la fine di un percorso, due avvicinamenti totalmente diversi. Da una parte sai di avere tutta la carriera davanti, ti vivi l'esperienza, la voglia di essere lì, di vedere come funziona, di cominciare a gareggiare con gli atleti che fino al giorno prima guardavi in televisione. Una fortissima emozione: tante prime volte, tutto nuovo, da conoscere, da imparare. Adesso tutta l’esperienza è dietro le spalle, c’è la consapevolezza di aver raggiunto traguardi cose che allora erano solo degli obiettivi lontani. Significa anche sapere che non tutto arriva così semplicemente perché hai raggiunto risultati in passato, ma che a ogni stagione si riparte praticamente da zero: anche questa olimpiade bisogna guadagnarsela, quindi ci sto mettendo come sempre tutto me stesso».


Con quale stato d’animo?
«L'entusiasmo ancora quello, penso che quasi sicuramente sarà l'ultima stagione, quindi vorrei cercare di portarla a termine nel miglior modo possibile. Anche solo riuscire a qualificarsi per me sarebbe già un grandissimo traguardo: poter di nuovo gareggiare in casa, in un evento del genere, sarebbe una cosa fantastica. Un altro sogno da realizzare, soprattutto perché in questo caso gareggerei in casa, davvero, quindi sarebbe qualcosa di speciale». Da quanto tempo la Val di Fiemme è diventata casa di un friulano di Carnia? «Da dieci anni, ormai sono un trentino d’adozione. È stato molto bello questo periodo di avvicinamento all’Olimpiade, vedere tutta la preparazione delle strutture , nella valle in cui abito e mi alleno, mi piace pensare che sia l’inizio di un bel futuro per questo sport, tutto è stato migliorato».




Guardando indietro che cosa vede: le soddisfazioni che hai raccolto sono tutte quelle che avrebbe voluto?
«A livello di gare ho sempre dato tutto me stesso quindi e non ho rimpianti¸anche se sono stato un po' condizionato da alcuni infortuni, ma questo fa parte del percorso. Quello che mi dispiace un po' è non essere sempre riuscito a mantenere una buona costanza sul salto nei salto avrebbe volute dire ancora più risultati. Ma non è un rimpianto perche quando hai dato tutto non puoi averne».


Non dopo aver portato a casa a l’unica medaglia olimpica della disciplina. Quanto è difficile quando si cade su un salto ritrovare l’automatismo. È più questione di testa o di memoria del corpo?
«È un problema mentale: l'automatismo del gesto tecnico rimane, è un po' come quando impari ad andare in bicicletta, non si disimpara, però, indubbiamente, dopo un lungo stop come è stato per l'ultimo infortunio al ginocchio, che mi ha tenuto lontano quasi un anno dal trampolino, poi ti ritrovi con tanto lavoro da fare, con una stagione in meno quando gli atleti, soprattutto quelli più giovani, si sono portati avanti, hanno fatto dei miglioramenti mentre tu ti trovi a inseguire. L’anno scorso è stato un po' un inseguire la condizione, un cercare di riprendere soprattutto il feeling, le sensazioni con la velocità».


Come definirebbe la sensazione del salto, voli che superano 100 metri?
«È una sensazione molto forte, l'adrenalina è tanta perché quando ti dai il via, quando ti lasci andare, non puoi più fermarti: non è come in tanti altri sport dove puoi magari frenare, ormai sei partito quindi devi fare il tuo salto e, dopo lo stacco, trovarsi in aria con la pressione dell'aria che senti forte sotto lo sci e ti fa galleggiare, ti fa volare è una sensazione molto bella, soprattutto quando sai di aver fatto un bel salto, perché te ne accorgi subito, è molto molto bello: un'emozione difficile da descrivere, difficile da far arrivare a chi non l’ha provata».
Quanto lasciano sul fisico vent'anni di questa avventura?
«Mi sento ancora in buona condizione, in buona forma. Mi rendo conto che non sono più un ragazzino per i tempi di recupero e per certi allenamenti che non riesco più a gestire come anni fa, però in realtà il fisico risponde bene. A livello mentale sicuramente è diventato un po' più tosto il fatto di essere sempre in giro, di doversi sempre preparare al meglio, di dover curare tutti i dettagli, di essere sempre sotto pressione, alla lunga diventa difficile da sostenere soprattutto da quando negli ultimi anni ho una famiglia a casa e le priorità diventano alter. Ho una bambina di quattro e da quando c’è mi pesa un po’ di più dover continuamente viaggiare per gare e allenamenti».
Spaventa di più la sensazione del primo salto vero da un trampoline grande o quella di essere sul punto di fare nella vita il salto oltre lo sport agonistico?
«Sono emozioni diverse. Quest'estate abbiamo fatto i primi salti sui trampolini nuovi di Predazzo, rifatti per l’Olimpiade. C’è stata la forte emozione di tornare su un trampolino e soprattutto di saltare su un trampolino che fino a quel momento non era stato testato: è molto adrenalinico essere i primi, ed è stata un’esperienza mai provata. Dall'altra parte è ovviamente difficile affrontare dopo tanti anni il pensiero del passaggio a una vita tutta diversa, devi fare pace col fatto che verrà un giorno in cui dovrai dirti domani cambia tutto e non si torna indietro. È un cambiamento che un po’ spaventa, ma il fatto che man mano che il tempo passa la routine di oggi sia più difficile da gestire, fa sì che ci sia anche curiosità, voglia di cambiare».
Che cosa farà da grande?
«Non ho ancora le idee del tutto chiare, sicuramente mi piacerebbe rimanere nell'ambito sportivo però prima di tutto, quando sarà il momento avrò bisogno di fare una pausa, di staccare poi pian piano vedrò che prospettive mi si offrono, poter dare una mano nel settore sarebbe comunque per me importante».



