È davvero difficile restare indifferenti di fronte agli occhi lucidi di Federico Natali, padre di Andrea che si è tolto la vita al termine di un cammino sofferto e punteggiato di ferite dell’anima, mentre rivolge un appello pubblico attraverso la tv nazionale invitando chi si trova intrappolato nel tunnel della depressione a non chiudersi nel silenzio. Lo fa a qualche giorno dalla morte del figlio, abbracciato alla moglie nel giardino di casa, con alle spalle una piccola edicola che contiene l’immagine di Giovanni Paolo II, segnale che aiuta a contestualizzare la parola “perdono”, risuonata più volte nelle sue dichiarazioni. Affianca misercordia e giustizia, Federico Natali, chiedendo che venga fatta luce sulla storia di un figlio che non può più stringere fra le braccia.

Ma la storia di Andrea non è una vicenda di ordinario bullismo scolastico o di vessazione di un adolescente. Sembra piuttosto il percorso di un giovane adulto, di animo sensibile, segnato dalla fragilità. La nostra lettura della situazione potrebbe fermarsi qui, perché andare oltre significa entrare nel mistero di un’esistenza che nemmeno le persone più vicine e più competenti sono riuscite a sondare. Vengono i brividi a sentire certe sentenze proclamate attraverso i vari media che condannano i meccanismi della Rete e bollano ancora una volta Internet come la sorgente di tutti i mali. I social media possono essere stati una miccia, uno strumento utilizzato in modo improprio, ma le cause che hanno portato alla tragica fine di Andrea Natali non possono essere certo risolte in maniera così sbrigativa.

È la classica dinamica del capro espiatorio: individuare un colpevole in maniera rapida e sbrigativa aiuta a tacitare le coscienze e ad archiviare le vicende dolorose che, invece, ci provocano a ben altre analisi. Probabilmente è meglio fermarsi sulla soglia di una vita segnata dalla vulnerabilità, in silenzio, senza pretendere di avere parole risolutive, sempre, su tutto.