Il cartellino azzurro del Csi, via di mezzo tra giallo e rosso sul campo di calcio, non ha mai fatto discutere finché lo si è applicato ai falli tecnici, ma ora che qualcuno ha deciso di applicarlo anche, al posto dell’espulsione, alle intemperanze verbali, bestemmia compresa, la faccenda s’è non poco complicata.

Abbiamo chiesto a Vittorio Bosio, vicepresidente del Csi nazionale, di aiutarci a capire il punto di vista.

Vicepresidente Bosio, tanto per capire come funziona: il cartellino azzurro esiste a livello nazionale o ciascuno fa come vuole?
«Il regolamento è nazionale, anche se non tutti i comitati lo applicano allo stesso modo perché  a livello regionale c’è possibilità di modularlo secondo le proprie esigenze. Il cartellino azzurro fa sì che il giocatore stia fuori qualche minuto. Il principio è: vogliamo educare o vogliamo mostrare che siamo forti e non far giocare più chi bestemmia? Il problema è educativo o è populismo come stanno facendo?».

 Sicuri che non faccia l’effetto contrario?
«Io ho arbitrato per 40 anni e una volta, da giovane, in oratorio, ho espulso un ragazzo per una bestemmia. Per tutta risposta quando è uscito: moccoli a ripetizione. Alle fine è venuto il parroco negli spogliatoi, ha voluto sapere chi fossi e poi mi ha chiesto: “Sei sicuro di aver fatto un’azione educativa?”. All’inizio ho replicato: “Sono le regole”. Ma, visto che me lo chiedeva di nuovo, ci ho riflettuto. Solo un’altra volta ho espulso per una bestemmia. Altre volte quando capitava – non capitava spesso - ho provato a dialogare, sicuramente più utile del cartellino».

Come siete arrivati a questa decisione?
«L’azzurro su questo tema è una sperimentazione che abbiamo in corso, e di cui abbiamo molto discusso nei nostri consigli provinciali e direttivi. Ci siamo arrivati anche constatando che, quando la regola contro la bestemmia è il rosso, l’arbitro tende a diventare sordo, a fingere di non sentire perché è troppo complicato applicare la regola».

Capiamo che il fallo di gioco può venire per scarsa dimestichezza con la tecnica, ma dall’abitudine al gergo da bassifondi ci si può anche trattenere. Finire espulsi per quello è così grave?
«Certo che se uno impreca a ripetizione, l’arbitro deve espellerlo, il segnale si dà una volta e basta. Agli allenatori dico spesso che toccherebbe a loro in questi casi sostituire per primi, senza aspettare l’arbitro. Educare è anche questo. Leggo sui giornali che avremmo “acconsentito” alla bestemmia. Il contrario semmai…».

Da fuori però la scelta si presta a fraintendimenti…
«Il fatto è che la regola c’è, ma in Serie A l’espulsione per bestemmia è stata applicata una sola volta 30 anni fa. E non è che non bestemmino anzi, è che l’arbitro fa finta di niente. Ma non sarà chiudendo le orecchie che risolveremo il problema».

Certo che no. Non avete pensato che il Csi, in quanto Csi, avrebbe potuto dare l’indicazione opposta: invitando gli arbitri ad applicare il regolamento che altri non applicano?
«La nostra sperimentazione è più repressiva di prima: abbiamo chiesto agli arbitri di non chiudere più le orecchie. Anche perché spesso giochiamo in oratorio con maglie con scritto Società sportiva Maria Immacolata. La nostra responsabilità è maggiore. Abbiamo pensato di disincentivare la chiusura delle orecchie senza penalizzare tutta la squadra dopo cinque minuti. Tenga presente che il fenomeno bestemmia non è diffuso come si dice».

E allora un rosso ogni tanto che sarà mai. Non temete il rischio del messaggio opposto?
«Ma sì, per come abbiamo letto oggi sui giornali sembra che sdoganiamo. Ma nessuno pone il problema educativo. Educhiamo espellendo? Non lo so. Ho avuto ore di discussione nei gruppi arbitri, se siamo arrivati a sperimentare questo non è per consentire la bestemmia».

Siamo d'accordo, che un'espulsione piccola è meglio che lasciar fare, ma poi un giorno o l’altro nella vita ragazzini abituati a esprimersi con trivialità da strada affronteranno situazioni in cui questo non sarà permesso, in cui per una parola fuori luogo si rischia un lavoro. Non è meglio che qualcuno glielo dica presto a muso un po’ duro sul campo di calcio?
«Se la polemica di oggi serve a farci riflettere sul come fare in futuro è una cosa positiva, ci servirà a riportare sul tavolo una questione che non pensavamo sarebbe uscita così. Se, invece, è solo servita per mettere alla berlina il nostro mondo che comunque a educare ci prova per davvero, per dire che i cattolici consentono di bestemmiare, mi si lasci dire che la parola “consentono” non la condivido».

 Dire la nostra e darvi diritto di replica, a costo di domande scomode, era l’unico modo per dibatterne seriamente, dentro un mondo che condivide gli intenti del Csi, in materia di sport e di educazione. Un contoè criticare una singola scelta, altro è mettere in questione una realtà intera.

«Anche perché quello che conta non alla fine non è espellere un ragazzo per una partita intera o per qualche minuto perché bestemmia, è lavorare perché non si metta in condizioni di prendersi quel cartellino. E su questo siamo d’accordo».