L’avevano fatta franca parecchie volte. Erano stati spintoni, insulti, una persecuzione che andava avanti da mesi loro, tre diciottenni in apparenza normali di Siracusa, avevano costituito un branco, lui, Giuseppe Scarso per tutti don Pippo, un ottantenne solo e con qualche limitazione fisica, era stato eletto a vittima. Poteva essere uno chiunque, lui non aveva colpe da espiare, nulla di nulla. Era solo perfetto per  avere gioco facile,  per sentirsi  potenti e impuniti. E così hanno alzato il tiro: bulleggiare non bastava più, ci voleva qualcosa di più eccitante. Ecco, certo il fuoco: una prima aggressione, il 28 settembre scorso, l’uomo che riesce a spegnere le fiamme e corre a chiedere aiuto ai vicini,  il 118 che arriva, ma sono ustioni superficiali, e l’uomo torna a casa, ma denuncia  i ragazzi. Lui non sa identificarli e così quelli la fanno franca.  Il gesto li ha galvanizzati e vogliono provarci ancora: si procurano il combustibile da un benzinaio, forzano la casa del pover’uomo, lo cospargono di benzina e gli danno fuoco. Stavolta le ustioni sono molto gravi, ma l’uomo fa in tempo ad esclamare: «Perché mi hanno fatto questo?». E si vorrebbe chiederlo a loro un perché, ora che almeno uno della banda è stato individuato e catturato, un altro risulta solo indagato perché pur essendo complice quella notte non c’era, mentre il terzo è fuggito e ha fatto perdere le sue tracce.  Nel frattempo, per, don Pippo non c’è più. Dopo due e mesi e mezzo di agonia ha avuto un arresto cardiocircolatorio all'ospedale  Cannizzaro di Catania dove era ricoverato.
 


E come spesso accade ci si domanda cosa possa esserci dietro un gesto tanto assurdo e crudele: e in risposta troviamo un ragazzo normale, Andrea Tranchina,  18 anni, figlio di genitori che lavorano, che frequenta un istituto privato, studia per diventare geometra. Cosa può essere scattato nella mente dei tre ragazzi, come hanno potuto mettere in atto un’azione tanto malvagia? Basta forse a spiegare tutto ciò la noia, magari una dose massiccia di videogiochi violenti, un’ideazione perversa che non distingue l’immaginario dal reale, e spegne qualsiasi tipo di empatia, impedisce di vedere nel bersaglio della loro crudeltà un essere umano.
Non è il primo episodio del genere, anzi, storie simile seguono uno stesso copione e anche i protagonisti, quei ragazzi normalissimi e perbene, sono simili, come simili sono le vittime, un anziano, un handicappato, un senzatetto.
Ha raccontato molto bene questo tipo di vicenda lo scrittore  Herman Kock nel romanzo La cena, che poi è diventato un film, I nostri ragazzi. In quel caso come nei fatti di Siracusa difficilmente riusciamo a trovare una giustificazione, ad assolvere le azioni di quei ragazzi. La sensazione è che sapessero bene quello che facevano,  pur credendo di rimanere impuniti.  C’è freddezza, premeditazione, desiderio di causare sofferenza. Forse gli psicologi troveranno parole per esprimere i meccanismi che conducono a tali azioni, ma resta il Male, assoluto, palpabile, concreto. Suscettibile di redenzione certo, ma solo dopo averlo guardato in faccia e chiamato con il suo nome.