Ci illudiamo sempre che “certe brutte cose” accadono solo altrove e, perciò, ci ritroviamo spiazzati nel momento in cui il dramma ce lo ritroviamo in casa. I ragazzi, poco più che bambini, in possesso di tre orribili coltellacci a scuola, a Caivano, hanno fatto strabuzzare gli occhi ai genitori, agli insegnanti, a me, e a tutte le persone che si ostinano a lottare per un mondo migliore. Che ci dovevano fare? Avevano paura di essere colpiti o voglia di colpire? Nessuno lo saprà mai con certezza. Ai vecchi nostalgici del tempo che fu va ricordato che è del tutto inutile – se non dannoso - fare paragoni tra le generazioni. Non reggono. Che fare, dunque? Quello che stiamo facendo e farlo meglio. Senza cedere alla tentazione di ribaltare le colpe sugli altri che, a loro volta, le rimanderanno al mittente. Occorre capire se davvero in questi anni abbiamo messo al centro della vita familiare, ecclesiale, politica, i nostri bambini.

È vero, questi benedetti -? - telefonini ci hanno dato tanto ma anche ci stanno rubando spazi ed emozioni. È vero, il mondo virtuale sta diventando più reale del mondo reale. In tempo di pace e di benessere, a colpire non è la fame, la sete, le bombe, ma un nemico più subdolo e pernicioso, che rode alla radice la voglia di correre e studiare; di impegnarsi e correre in aiuto; di sperare e pregare: la noia. Quanto poco abbiamo riflettuto su questo virus capace di tarpare le ali non solo ai giovani ma anche a chi di anni da parte ne ha già messi tanti. Dio ci liberi dalla noia. Io non credo che i ragazzi di Caivano avessero voglia di fare male a qualcuno. Credo, però, che in un momento difficile, messi allo stretto, il male avrebbero potuto farlo davvero. Io sono certo che quei coltellacci servivano loro per fare i buffoni, darsi delle arie, per sentirsi accolti nel gruppo di appartenenza. Ma non li vedete? Non vi fermate a guardarli, anche solo da lontano? Perché l’assassino del caro Paolo Taormina aveva quelle orribili collane d’oro appese al collo? Perché in certi quartieri, come il mio, una massiccia corona d’oro del Rosario è messa in bella vista da chi una “Ave Maria” forse non l’ha recitata mai? Simboli. Icone. Reliquie. Segni di appartenenza. Come un carabiniere deve indossare “quella” divisa, loro “devono” adornarsi di “quella” collana, sennò sono tagliati fuori.

Psicologia, sociologia, linguaggi, cultura o sub cultura: per chi sa e vuole prendersi la briga di leggere, qui c’è tutto. Il dramma è che proprio perché non sono convinti di niente, questi “fanciulli” potrebbero fare guai e finire nei guai. C’è da andare a fondo. C’è da dialogare e controllare, educare e amare. C’è da smettere la noiosa cantilena della malvagità dei tempi. Tutti i vecchi di tutti i secoli, prima di passare all’altro mondo, si sono lamentati dei tempi cattivi. Anche questi ragazzi tra 40 anni faranno la stessa cosa. Allora? Allora ben vengono tutte le misure atte a controllare e indirizzare le loro vite, il loro tempo, le amicizie che frequentano. Ben vengono le alleanze vere e non di facciata tra genitori e scuola; genitori e chiesa; genitori e servizi sociali; genitori e mondo dello sport. E i metal dector all’ingresso delle scuole? Ben vengono anche loro, senza però caricarli eccessivamente di attese. Senza pretendere da loro risposte che non potranno mai dare. Perché se è vero che potranno intercettare un coltello prima che il ragazzo entri in classe – ed è, ripeto, un bene – non potranno di certo seguirlo durante la giornata. Coraggio, non piangiamoci addosso. Insieme a tante comodità i social ci hanno portato anche tanti problemi cui non eravamo avvezzi. Troviamo, però, il coraggio di ammettere la più elementare delle verità: tutto ciò che riguarda questi benedetti ragazzini chiama in causa gli adulti, a cominciare da coloro che ebbero la grazia di essere per loro: padri, madri, maestri, catechisti, parroci, insegnanti. Ma anche - perché no?- il sindaco del paese o il giornalista e il politico, che entrano nelle loro case senza chiedere il permesso. Ricordiamolo tutti: i ragazzi ci guardano. Ci osservano anche – e soprattutto – quando non ce ne accorgiamo. E ci imitano. Nel bene e nel male.