Il vescovo eletto di Trento, Lauro Tisi, ha lanciato un paio di settimane prima della sua ordinazione e ingresso in diocesi una singolare operazione di ascolto. Attraverso diversi canali digitali, compresi i social media dei mezzi di comunicazione afferenti alla diocesi, ha scelto di porre due domande. La prima è una richiesta di orientamento: Caro vescovo Lauro, se tu ci chiedessi quali sono, a nostro giudizio, le priorità, oggi, per la comunità trentina noi ti risponderemmo che…
La seconda, di sapore un po’ kennediano, riguarda l’impegno dei singoli, nella logica della reciprocità: e se tu ci chiedessi in che cosa noi per primi potremmo impegnarci per aiutare il nostro pastore, noi ti diremmo che…
Al di là della misura che arriverà dalle restituzioni a questa provocazione, ci piace sottolineare almeno tre aspetti:
Rischio. Esporsi nelle piazze del cyberspazio significa ritrovarsi immediatamente vulnerabili, passibili di critica, raggiungibili senza filtri. Significa non poter esercitare un controllo serrato che spesso è uno dei pilastri che sorreggono maggiormente le istituzioni. Tra i rischi c’è anche quello di non ricevere risposte, segnale che può indicare sia la scarsa dimestichezza con l’elettronica che il poco interesse e coinvolgimento di una comunità diocesana per richieste così rilevanti.
Comunicare diventa condividere. Lo afferma anche papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni di quest’anno. Affidare un quesito alla mediazione digitale significa avere un’idea circolare della comunicazione e non piramidale. Un futuro vescovo che si mette in ascolto dei desideri e sforzi della sua comunità rivela una tensione alla sinodalità, al camminare a fianco prima ancora che alla testa di una diocesi. Una consultazione della base dev’essere vera, però, per restituire credibilità agli inizi di un ministero: ciò che dovesse emergere va tenuto in seria considerazione. Se c’è un boomerang che gli operatori della comunicazione digitale temono più di ogni altro danno è quello delle amnesie: «ti abbiamo risposto ma ti sei subito dimenticato, quindi hai perso contatto e fiducia».
Accessibilità. È la cifra dell’anti-divo, che si fa raggiungere, trovare, incontrare senza giocare di filtri. È desiderio di abbattere inutili barriere, di porsi sullo stesso piano di una comunità che chiede sempre più una comunicazione bidirezionale vera, reciproca.
Un tentativo coraggioso, quello della diocesi di Trento, che inaugura una stagione della comunicazione ecclesiale nella quale i mezzi digitali diventano parte rilevante dell’ascolto reciproco, come già indicato nel convegno della Chiesa italiana svoltosi lo scorso novembre a Firenze. Uno stile che non stona affatto nei giorni della Pasqua cristiana, nella quale pane, vino e buona notizia portano nativamente con sè la cifra della condivisione.
La seconda, di sapore un po’ kennediano, riguarda l’impegno dei singoli, nella logica della reciprocità: e se tu ci chiedessi in che cosa noi per primi potremmo impegnarci per aiutare il nostro pastore, noi ti diremmo che…
Al di là della misura che arriverà dalle restituzioni a questa provocazione, ci piace sottolineare almeno tre aspetti:
Rischio. Esporsi nelle piazze del cyberspazio significa ritrovarsi immediatamente vulnerabili, passibili di critica, raggiungibili senza filtri. Significa non poter esercitare un controllo serrato che spesso è uno dei pilastri che sorreggono maggiormente le istituzioni. Tra i rischi c’è anche quello di non ricevere risposte, segnale che può indicare sia la scarsa dimestichezza con l’elettronica che il poco interesse e coinvolgimento di una comunità diocesana per richieste così rilevanti.
Comunicare diventa condividere. Lo afferma anche papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni di quest’anno. Affidare un quesito alla mediazione digitale significa avere un’idea circolare della comunicazione e non piramidale. Un futuro vescovo che si mette in ascolto dei desideri e sforzi della sua comunità rivela una tensione alla sinodalità, al camminare a fianco prima ancora che alla testa di una diocesi. Una consultazione della base dev’essere vera, però, per restituire credibilità agli inizi di un ministero: ciò che dovesse emergere va tenuto in seria considerazione. Se c’è un boomerang che gli operatori della comunicazione digitale temono più di ogni altro danno è quello delle amnesie: «ti abbiamo risposto ma ti sei subito dimenticato, quindi hai perso contatto e fiducia».
Accessibilità. È la cifra dell’anti-divo, che si fa raggiungere, trovare, incontrare senza giocare di filtri. È desiderio di abbattere inutili barriere, di porsi sullo stesso piano di una comunità che chiede sempre più una comunicazione bidirezionale vera, reciproca.
Un tentativo coraggioso, quello della diocesi di Trento, che inaugura una stagione della comunicazione ecclesiale nella quale i mezzi digitali diventano parte rilevante dell’ascolto reciproco, come già indicato nel convegno della Chiesa italiana svoltosi lo scorso novembre a Firenze. Uno stile che non stona affatto nei giorni della Pasqua cristiana, nella quale pane, vino e buona notizia portano nativamente con sè la cifra della condivisione.


