«Kinshasa questa mattina appare surreale. Strade vuote, negozi chiusi, pochissimo traffico. In molti hanno deciso di aspettare i risultati in casa, e di non uscire per timore di disordini. La tensione è alta».
La testimonianza è stata raccolta nella capitale della Repubblica Democratica del Congo dall’agenzia di stampa missionaria Misna. In queste ore si attende l’esito definitivo del voto per le elezioni presidenziali del grande Paese africano, per le quali si è votato il 28 e 29 novembre scorso.
Sono stati diffusi dalla Commissione elettorale indipendente (Ceni) dei risultati parziali, riguardanti il 68% dei seggi: Joseph Kabila, 40 anni, il presidente uscente che aveva vinto le elezioni del 2006 (le prime del dopo-Mobutu) sarebbe in testa col 46,4% dei consensi, contro il 36,2% del principale oppositore, Etienne Tshisekedi, 78 anni, leader dell’Udps, Unione per la democrazia e il progresso sociale.
Il Paese aspetta l’annuncio dei dati definitivi col fiato sospeso. Si moltiplicano gli appelli alla calma da parte delle istituzioni, ma intanto le strade sono pattugliate da militari e agenti di polizia. Mentre lo spoglio continua e la tensione cresce, i leader dei principali partiti d’opposizione – compreso lo stesso Tshisekedi, hanno firmato una dichiarazione congiunta nella quale denunciano irregolarità e dicono che la Commissione elettorale sta «preparando psicologicamente la popolazione alla frode». «Di conseguenza», conclude il comunicato, «respingiamo questi risultati parziali e li consideraiamo nulli e vuoti».
Di fronte al rischio di un’escalation di violenze e scontri è intervenuto anche l’Alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton appellandosi alla calma e alla moderazione. «Chiedo a tutte le forze politiche di rispettare le regole del processo elettorale e di presentare tutte le contestazioni eventuali per via legale o giuridica», ha aggiunto.
Anche la Divisione per i diritti umani della missione Onu in Congo (Monusco) ha segnalato centinaia di casi di violazione dei diritti umani, già a partire dalle scorse settimane: attacchi alla libertà di espressione individuale e di gruppo, aggressioni, mancato rispetto del diritto di manifestare pacificamente, arresti arbitrari, maltrattamenti, violenze e minacce di morte nei confronti dei difensori dei diritti umani.
Sotto accusa, soprattutto, la polizia congolese e l’Agenzia nazionale di informazione, ma militanti di alcuni partiti. I congolesi chiamati al voto sono stati 32 milioni, in circa 64 mila centri (il Paese è grande come l'Europa occidentale).
Le segnalazioni di problemi, irregolarità e brogli sono già molte: è stato denunciato che non tutti sono riusciti a votare e altri hanno votato più volte.
Nel Paese, insomma, sono ore di paura. Da Kinshasa sarebbero fuggite, attraverso il fiume Congo, 3.000 persone in direzione di Brazzaville, la capitale della vicina Repubblica del Congo. E 4000 ragazzi di strada avrebbero abbandonato i quartieri più “caldi” per cercare rifugio in zone più lontane dal centro. L’Unicef e il Programma alimentare mondiale dell’Onu hanno messo a disposizione 750 tonnellate di beni di prima necessità, principalmente viveri e medicinali, per un eventuale intervento di emergenza.
Secondo le voci che circolano in città, i sostenitori di Tshisekedi provocheranno il caos in città se il presidente uscente dovesse essere annunciato vincitore. E, viceversa, in caso di vittoria dello sfidante, sarebbe pronta a intervenire con la forza la Guardia presidenziale fedele a Kabila.
Se a Kinshasa ci si aspetta il peggio, dall’Est del Paese giungono invece segnali di senso opposto: «Restiamo ottimisti e continuiamo a sensibilizzare la popolazione, lanciando appelli alla calma e insistendo sul fatto che se i risultati devono essere contestati, esistono ricorsi previsti dalla legge», dice Mathilde Muhindo, ex parlamentare e attivista per i diritti umani a Bukavu (il capoluogo della provincia orientale del Sud-Kivu). «Non vogliamo risvegliarci sotto le armi. Abbiamo già sofferto abbastanza in passato».
Alla vigilia del voto, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, aveva lanciato un monito che in queste ore risulta quanto mai attuale: «Come potremo dare fiducia a dirigenti incapaci di proteggere la popolazione? Come eleggere esponenti non in grado di portare pace, giustizia e amore? Vogliamo una repubblica di valori, non di antivalori».
Tante sensazioni in questo giornata, "Jour J" - "D Day" per la Repubblica Democratica del Congo: si attendono i risultati delle elezioni svoltesi il 28 novembre. Voci discordanti si rincorrono. Ma ciò che mi fa più riflettere è il volto pensieroso, direi accigliato, di molti giovani. Speravano (e sperano ancora...) in un possibile cambiamento, nella crescita vera della democrazia, nel rispetto delle idee e della vita di ciascuno, dello sviluppo a partire della enormi ricchezze naturali. I segni che finora sono giunti indicano invece una volontà di mantenere lo status quo, una certa indeterminatezza delle cose che permette a pochi di sfruttare al massimo le ricchezze che apparterrebbero a tutti, e questo - sembrerebbe - al di là della volontà popolare espressa nel voto.
E - ben inteso - non si tratta poi solo di una ricchezza quantificabile, ma di un patrimonio di idee e di progetti che rischiano nuovamente di essere affossati. E si capisce dalle reazioni dei più giovani quanto questo brucia nel loro intimo. Qualcuno, forse con un po' di esperienza o spregiudicatezza in più, riesce a scherzarci sopra, a dire che bisogna solo avere un po' di pazienza, attendere ancora qualche anno... Ma veder soffrire i giovani con i loro sogni e le loro attese fa sempre male. Si può trovare una ragione a questa situazione? La più scontata, ma non per questo senza basi di verità, è di incolpare l'Occidente o il cosiddetto mondo economico.
Mi sono visto l'indice puntato contro, non con violenza, ma con la determinazione delle idee: l'Occidente, o almeno un certo Occidente, vuole imporre le sue regole, qui come altrove. E noi europei rappresentiamo questo Occidente, anche se ho potuto spiegare - immediatamente compreso - che io con la politica estera dell'Unione Europea o di altri Stati occidentali ho poco a che spartire. E, ho risposto, spetta ai congolesi - questo un semplice consiglio - di farsi sentire con forza delle parole, con la forza delle idee e dell'informazione, per far conoscere a tutti la vera situazione del loro paese e per cercare lo slancio interiore, esteriore e politico per i necessari cambiamenti. Aspetto con una certa ansia l'arrivo di questa notte per capire a cosa lascerà il posto il silenzio quasi irreale di queste ore. Un modo interessante per sperimentare l'atteggiamento tipico del tempo liturgico dell'Avvento, un'attesa nella preghiera.
La testimonianza è stata raccolta nella capitale della Repubblica Democratica del Congo dall’agenzia di stampa missionaria Misna. In queste ore si attende l’esito definitivo del voto per le elezioni presidenziali del grande Paese africano, per le quali si è votato il 28 e 29 novembre scorso.
Sono stati diffusi dalla Commissione elettorale indipendente (Ceni) dei risultati parziali, riguardanti il 68% dei seggi: Joseph Kabila, 40 anni, il presidente uscente che aveva vinto le elezioni del 2006 (le prime del dopo-Mobutu) sarebbe in testa col 46,4% dei consensi, contro il 36,2% del principale oppositore, Etienne Tshisekedi, 78 anni, leader dell’Udps, Unione per la democrazia e il progresso sociale.
Il Paese aspetta l’annuncio dei dati definitivi col fiato sospeso. Si moltiplicano gli appelli alla calma da parte delle istituzioni, ma intanto le strade sono pattugliate da militari e agenti di polizia. Mentre lo spoglio continua e la tensione cresce, i leader dei principali partiti d’opposizione – compreso lo stesso Tshisekedi, hanno firmato una dichiarazione congiunta nella quale denunciano irregolarità e dicono che la Commissione elettorale sta «preparando psicologicamente la popolazione alla frode». «Di conseguenza», conclude il comunicato, «respingiamo questi risultati parziali e li consideraiamo nulli e vuoti».
Luciano Scalettari
Di fronte al rischio di un’escalation di violenze e scontri è intervenuto anche l’Alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton appellandosi alla calma e alla moderazione. «Chiedo a tutte le forze politiche di rispettare le regole del processo elettorale e di presentare tutte le contestazioni eventuali per via legale o giuridica», ha aggiunto.
Anche la Divisione per i diritti umani della missione Onu in Congo (Monusco) ha segnalato centinaia di casi di violazione dei diritti umani, già a partire dalle scorse settimane: attacchi alla libertà di espressione individuale e di gruppo, aggressioni, mancato rispetto del diritto di manifestare pacificamente, arresti arbitrari, maltrattamenti, violenze e minacce di morte nei confronti dei difensori dei diritti umani.
Sotto accusa, soprattutto, la polizia congolese e l’Agenzia nazionale di informazione, ma militanti di alcuni partiti. I congolesi chiamati al voto sono stati 32 milioni, in circa 64 mila centri (il Paese è grande come l'Europa occidentale).
Le segnalazioni di problemi, irregolarità e brogli sono già molte: è stato denunciato che non tutti sono riusciti a votare e altri hanno votato più volte.
Nel Paese, insomma, sono ore di paura. Da Kinshasa sarebbero fuggite, attraverso il fiume Congo, 3.000 persone in direzione di Brazzaville, la capitale della vicina Repubblica del Congo. E 4000 ragazzi di strada avrebbero abbandonato i quartieri più “caldi” per cercare rifugio in zone più lontane dal centro. L’Unicef e il Programma alimentare mondiale dell’Onu hanno messo a disposizione 750 tonnellate di beni di prima necessità, principalmente viveri e medicinali, per un eventuale intervento di emergenza.
Secondo le voci che circolano in città, i sostenitori di Tshisekedi provocheranno il caos in città se il presidente uscente dovesse essere annunciato vincitore. E, viceversa, in caso di vittoria dello sfidante, sarebbe pronta a intervenire con la forza la Guardia presidenziale fedele a Kabila.
Se a Kinshasa ci si aspetta il peggio, dall’Est del Paese giungono invece segnali di senso opposto: «Restiamo ottimisti e continuiamo a sensibilizzare la popolazione, lanciando appelli alla calma e insistendo sul fatto che se i risultati devono essere contestati, esistono ricorsi previsti dalla legge», dice Mathilde Muhindo, ex parlamentare e attivista per i diritti umani a Bukavu (il capoluogo della provincia orientale del Sud-Kivu). «Non vogliamo risvegliarci sotto le armi. Abbiamo già sofferto abbastanza in passato».
Alla vigilia del voto, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, aveva lanciato un monito che in queste ore risulta quanto mai attuale: «Come potremo dare fiducia a dirigenti incapaci di proteggere la popolazione? Come eleggere esponenti non in grado di portare pace, giustizia e amore? Vogliamo una repubblica di valori, non di antivalori».
Luciano Scalettari
Tante sensazioni in questo giornata, "Jour J" - "D Day" per la Repubblica Democratica del Congo: si attendono i risultati delle elezioni svoltesi il 28 novembre. Voci discordanti si rincorrono. Ma ciò che mi fa più riflettere è il volto pensieroso, direi accigliato, di molti giovani. Speravano (e sperano ancora...) in un possibile cambiamento, nella crescita vera della democrazia, nel rispetto delle idee e della vita di ciascuno, dello sviluppo a partire della enormi ricchezze naturali. I segni che finora sono giunti indicano invece una volontà di mantenere lo status quo, una certa indeterminatezza delle cose che permette a pochi di sfruttare al massimo le ricchezze che apparterrebbero a tutti, e questo - sembrerebbe - al di là della volontà popolare espressa nel voto.
E - ben inteso - non si tratta poi solo di una ricchezza quantificabile, ma di un patrimonio di idee e di progetti che rischiano nuovamente di essere affossati. E si capisce dalle reazioni dei più giovani quanto questo brucia nel loro intimo. Qualcuno, forse con un po' di esperienza o spregiudicatezza in più, riesce a scherzarci sopra, a dire che bisogna solo avere un po' di pazienza, attendere ancora qualche anno... Ma veder soffrire i giovani con i loro sogni e le loro attese fa sempre male. Si può trovare una ragione a questa situazione? La più scontata, ma non per questo senza basi di verità, è di incolpare l'Occidente o il cosiddetto mondo economico.
Mi sono visto l'indice puntato contro, non con violenza, ma con la determinazione delle idee: l'Occidente, o almeno un certo Occidente, vuole imporre le sue regole, qui come altrove. E noi europei rappresentiamo questo Occidente, anche se ho potuto spiegare - immediatamente compreso - che io con la politica estera dell'Unione Europea o di altri Stati occidentali ho poco a che spartire. E, ho risposto, spetta ai congolesi - questo un semplice consiglio - di farsi sentire con forza delle parole, con la forza delle idee e dell'informazione, per far conoscere a tutti la vera situazione del loro paese e per cercare lo slancio interiore, esteriore e politico per i necessari cambiamenti. Aspetto con una certa ansia l'arrivo di questa notte per capire a cosa lascerà il posto il silenzio quasi irreale di queste ore. Un modo interessante per sperimentare l'atteggiamento tipico del tempo liturgico dell'Avvento, un'attesa nella preghiera.
Don Roberto Ponti


