E si che la Lambretta prometteva bene. Filologicamente perfetta in “L’esorcista del Papa” di Julius Avery (Overlord, Son of a Gun, Samaritan) sedicente biopic su padre Gabriele Amorth, noto esorcista e divulgatore sul mistero del male.

Lo scooter del religioso (interpretato con mestiere da Russell Crowe) è della serie al tempo prodotta non più in Italia ma in Castiglia, una delle ambientazioni del film insieme al Vaticano.

Ma quella Lambretta è l’emblema anzitutto della poca precisione di come l’Europa è vista dagli States (hic sunt leones, e così Crowe/Amorth può agilmente farsi in motoretta Vaticano-Castiglia a/r, cosa saranno mai quei 4000 km). Così come il religioso nella realtà incaricato dalla diocesi di Roma diviene un inesistente “esorcista capo del Vaticano” inviato come super tecnico (con tanto di valigetta assortita di utensili sacri) anti demonio laddove imbranati operatori falliscono (padre Esquibel, interpretato da Daniel Zovatto).

Il film ben lungi dalla biografia sull’esorcista italiano morto nel 2016, usa un’esile cornice storica del religioso paolino e la farcisce - come dozzinale hot dog - con le facili salse dai sapori forti dell’horror e dello splatter, con abbondanti cucchiaiate di luoghi comuni del sottogenere “possessioni demoniache”: occhi roteanti, doppie voci baritonali, deiezioni a mo’ di geyser, persone e cose scagliate ovunque come piatti nelle liti di coppia.

Ah, la trama, in brevissimo perché inutile come in altri filmetti in cui ciò che conta è mostrare “i fatti”. L’esorcista è mandato direttamente dal Papa/Franco Nero (un pontefice barbuto?) nell’abbazia di San Sebastian in Castiglia per liberare un ragazzino posseduto, figlio di una americana (Hollywood vuole pur sempre connazionali) in Spagna per questioni immobiliari ereditate alla morte traumatica del marito. Ben presto si scopre – immaginazione nella fantasia – una cospirazione che il Vaticano da secoli insabbia, o meglio sotterra in stanze segrete laddove - e qui è “Indiana Jones” - si arriva allo scontro finale: il capo mondiale degli esorcisti contro il numero 1 dei demoni, l’insuperabile Asmodeo.

Nell’ineluttabile sfida finale preparata per tutto il film (come in “Mezzogiorno di fuoco”) ecco il supremo duello tra dialoghi imbarazzanti (“abbiamo messo a segno un buon punto per la nostra squadra”, dice il super eroe esorcista all’imberbe prete allievo, chi sono se non Batman e Robin?) e indigestione di scontati effetti speciali. 

Nel finale forse la verità: il protagonista leggiadro in scooter tra le più classiche vie di Roma, volendo citare “Vacanze romane” finisce per tradirsi: quella Lambretta è una Vespa che non ce l’ha fatta e rivela come tutto il film sia all’insegna del “vorrei ma non posso”. Chi spende scientemente soldi e fatiche per fare film deliberatamente brutti? 

Cosa rimane di Amorth: il demonio esiste nonostante qualcuno anche nella Chiesa ne dubiti, il male fa male, la misericordia di Dio libera dai peccati e dai tormenti, la comunione, anche tra preti, è dono potente. Scoperte che valgono ben più del prezzo del biglietto ma essendo al cinema e non a catechismo vogliamo anche l’arte.