La telefonata è arrivata pochi giorni prima di Natale. Una di quelle chiamate che non risolvono, ma riconoscono. Dall’altra parte della linea c’era il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ha chiamato Armanda Colusso per dirle che lo Stato non ha dimenticato suo figlio, Alberto Trentini. Un gesto sobrio, nel suo stile, ma capace di incidere profondamente nella vita di una madre che da tredici mesi vive sospesa nell’angoscia dell’attesa.

Poco dopo quella telefonata, Armanda si è trovata ad affrontare il secondo Natale senza Alberto. «Non so rassegnarmi che ci sia un secondo Natale senza mio figlio», ha confidato con voce ferma ma segnata, rispondendo ai giornalisti di Chora Media. Una frase semplice, che dice tutto: lo scandalo di un’assenza che avrebbe motivo di esistere.

Armanda Colusso è la madre di Alberto Trentini, il cooperante veneziano di 46 anni, detenuto da oltre un anno in un carcere di massima sicurezza di Caracas senza accuse formali, senza processo, senza che il suo avvocato abbia mai potuto incontrarlo. Ma Armanda non è soltanto “la madre di”. È una donna che ha trasformato un dolore privato in una responsabilità pubblica, una testimonianza civile paziente e ostinata.

Per questo Famiglia Cristiana l’ha scelta tra le "Donne dell’Anno 2025”: perché nella sua figura si riflettono la forza delle madri, la dignità silenziosa di chi non smette di credere nella vita e nella giustizia.

«Sono stati tredici mesi di calvario», ha raccontato, «eravamo abituati alle sue assenze, perché ogni nuovo progetto richiedeva la sua presenza lontano da casa, ma c’era sempre un contatto giornaliero. Ora in noi c’è un senso di frustrazione e angoscia, ma una speranza che non vogliamo spegnere». È una speranza fragile, ma tenace, nutrita dalle poche notizie che arrivano da chi è riuscito a uscire vivo dall’inferno del carcere di El Rodeo I.

Alberto è stato arrestato il 15 novembre 2024 mentre si recava in missione a Guasdualito, al confine con la Colombia, per conto dell’Ong Humanity & Inclusion. Da allora è scomparso dentro una detenzione arbitraria che viola ogni principio di diritto. A parlare per lui sono stati gli ex detenuti. Celle di due metri per due, pavimenti coperti di feci, torture, guardie incappucciate. In mezzo a tutto questo, Alberto è riuscito a telefonare a casa solo tre volte. «Non ci siamo detti molto perché eravamo troppo emozionati», ha raccontato Armanda, «ci ha chiesto come sta papà e ci ha detto che il peggio era passato. Possiamo solo immaginare quale “peggio” possa aver subito».

La madre Armanda Colusso Trentini partecipa alla conferenza ‘Libertà per Alberto subito’ per chiedere il rilascio del figlio Alberto Trentini detenuto in Venezuela da un anno presso palazzo Marino a Milano, 15 novembre 2025. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
La madre Armanda Colusso Trentini partecipa alla conferenza ‘Libertà per Alberto subito’ per chiedere il rilascio del figlio Alberto Trentini detenuto in Venezuela da un anno presso palazzo Marino a Milano, 15 novembre 2025. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
Armanda Colusso Trentini alla conferenza "Libertà per Alberto subito" a Palazzo Marino a Milano il 15 novembre scorso (ANSA)

Eppure, anche in questo buio, Armanda si aggrappa a una parola che ritorna come un appiglio: forza. Gli ex prigionieri hanno detto che Alberto è vivo, che è “molto forte”. Una forza che viene anche dall’essere figlio. Dall’amore che lo aspetta.

Il dolore di Armanda, però, si intreccia alla delusione per il silenzio che ha circondato a lungo questa vicenda. Parla senza acrimonia, ma con lucidità, delle «trattative del governo italiano partite in ritardo», di una diplomazia che non ha ancora prodotto risultati. Per questo ha deciso di scrivere direttamente al presidente venezuelano Nicolás Maduro, grazie al canale aperto dall’ambasciatore Onu Alberto López. «Ho spiegato che Alberto era andato in Venezuela per portare aiuto al suo popolo», ha raccontato, «e che Alberto è il nostro unico figlio, la ragione della nostra vita».

In queste parole c’è tutto Armanda Colusso: una madre che non implora, ma testimonia; che non accusa, ma chiede responsabilità; che non smette di ricordare a tutti noi che Alberto Trentini non è un caso diplomatico, ma una persona. Un figlio. Un italiano che ha scelto di stare dalla parte degli ultimi.

Il presidente Mattarella, chiamandola prima di Natale, ha riconosciuto questo dolore come un dolore della Repubblica. Ma Armanda aspetta che quel riconoscimento diventi corale. Che l’Italia intera, a cominciare dalle istituzioni, senta come proprio quel posto vuoto a casa Trentini e agisca di conseguenza per riportarlo a casa. Che la libertà di Alberto diventi un’urgenza condivisa.

Armanda Colusso in questi mesi ha fatto della sua maternità una forma di resistenza civile. Tenendo accesa una luce mentre tutto intorno rischiava di spegnersi. E ricordandoci, con la sola forza della sua voce mai sopra le righe che il tempo che passa non è neutro. E che, davanti all’ingiustizia, restare in silenzio non è mai innocente.