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La fiaccolata in memoria di Martina Carbonaro, la giovane ragazza vittima di femminicidio, ad Afragola, il 28 maggio 2025
«Far male non è amore». Si leggeva così sugli striscioni scritti per accompagnare il feretro di Martina Carbonaro ad Afragola (Napoli) per l’ultimo saluto. 14 anni e una vita davanti è stata uccisa dall’ex 17enne a colpi di pietra perché non accettava la fine della relazione nella notte tra il 27 e il 28 maggio ad Afragola, alle porte di Napoli. Al suo addio, lei che è stata la vittima di femminicidio più giovane d’Italia nel 2025, migliaia di persone. Qualcuno dalla folla ha gridato «giustizia, giustizia». Alcune donne hanno urlato «Martina sei la figlia di tutti noi».
E proprio alla responsabilità collettiva ha richiamato anche l’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia, nella sua omelia con un duro richiamo per tutti: adulti e ragazzi, politici e rappresentanti delle istituzion:. «Oggi, davanti a Martina, dobbiamo assumerci tutti una responsabilità collettiva. Oggi dobbiamo impegnarci affinché a tutti, piccoli e grandi, sia chiaro che l'amore non è possesso. L'amore non è controllo. L'amore non è dipendenza. L'amore vero rende liberi. L'amore vero non trattiene, non costringe, non punisce», ha detto l'arcivescovo, che ha avuto parole di conforto per Enza e Marcello, i genitori della ragazzina, «che dorme. E sarà svegliata».


Rivolgendosi, poi, agli adulti ha proseguito: «Che mondo stiamo costruendo per questi ragazzi? Come li stiamo accompagnando a diventare uomini e donne capaci di rispetto, di tenerezza, di libertà? Non possiamo più rimandare. Non possiamo più dire 'succede agli altri'. È successo qui. A Martina. A 14 anni. E questo deve bastare». E poi non è riuscito a trattenere la commozione, fino alle lacrime, quando più volte ha pronunciato la parola "basta", "basta violenza", "basta giustificazioni", "basta parole deboli", ricordando ai tantissimi ragazzi presenti che Martina è morta «per mano di un ragazzo che non ha saputo reggere un rifiuto, un limite, una libertà, togliendo il futuro non solo a Martina ma anche a sé stesso. Martina è morta per un'idea malata dell'amore».


I funerali di Martina Carbonaro ad Afragola il 4 giugno 2025
(ANSA)Un'idea «ancora troppo diffusa, troppo tollerata, troppo silenziosa». E ancora: «Se per amore arrivi a fare del male, non è amore ma solo violenza. Un odio che uccide è femminicidio. Chiamiamolo col suo nome. Non è follia. Non è gelosia. Non è un raptus».
Ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna. Una lista, quella dei femminicidi, che si allunga di anno in anno e che, nell’80 per cento dei casi, avviene per mano del compagno o dell’ex: ovvero nell’ambito di una relazione. Provocata da uomini, per lo più italiani, di differente livello economico, sociale e culturale. Non ci sono più scuse per questo martirio perché, come recita uno degli slogan portati in manifestazione nel novembre scorso a Roma in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, «d’amore non si muore». Non si deve morire.
Non solo. Una donna su tre in Italia ha subito una violenza fisica, psicologica, economica o digitale. Ecco allora perché è necessaria una “rivoluzione sentimentale” che modifichi lo stile delle relazioni intime passando dal possesso alla reciprocità e al consenso, come non si stanca di ripetere l’associazione “Differenza Donna”. Oltre il 30 per cento delle ragazze e dei ragazzi, infatti, pensa che la gelosia e il controllo siano gesti d’amore. Premessa a relazioni tossiche. È da qui che bisogna ripartire.



