Ha trascorso più di dieci anni della sua vita rinchiusa in prigione, in condizioni terribili. Eppure nessuno, neppure l’opprimente regime di Teheran, è riuscito a metterla a tacere e a farla desistere dalla sua battaglia contro la repressione delle libertà e la violazione sistematica dei diritti delle donne e dei diritti umani. La voce di Narges Mohammadi ha acquistato ancora più forza dal carcere ed è diventata un simbolo dirompente del grande movimento di protesta “Donna, vita, libertà”, esploso in Iran a settembre del 2022, dopo la morte nelle mani della polizia della giovane Mahsa Amini.

Laureata in Fisica, giornalista, vice-presidente del Centro dei difensori dei diritti umani in Iran – un’organizzazione che si batte per la democrazia e per l’abolizione della pena di morte, fondata dall’avvocata e Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, e dal 2006 resa illegale - Narges Mohammadi, 53 anni, dal 2021 sta scontando nel famigerato carcere di Evin a Teheran, in condizioni durissime, disumane, quasi 13 anni di carcere, 154 frustate e altre sanzioni, pene comminate in quattro processi distinti legati al suo attivismo per i diritti umani.

A dicembre del 2024 ha ottenuto un rilascio temporaneo di 21 giorni per motivi di salute, perché l’attivista soffre di serie patologie cardiache e polmonari. Scaduto il permesso medico Mohammadi non è rientrata nel carcere di Evin, a Teheran. Ma lo scorso 12 dicembre è stata di nuovo arrestata mentre teneva un discorso alla cerimonia commemorativa per Khosrow Alikordi, un attivista per i diritti umani e avvocato trovato morto in circostanze poco chiare poco tempo prima, nella città di Mashhad, nella provincia di Khorasan. Insieme a lei, anche altre, persone, giornalisti e difensori dei diritti umani, sono state arrestate.

Nel 2023 Mohammadi è stata insignita del Premio Nobel per la pace. A ritirarlo a nome suo ad Oslo sono stati suo figlio e sua figlia, Ali e Kiana, gemelli. Come sottolinea Amnesty International, che porta avanti una campagna per ottenere la sua liberazione, l’attivista in questi anni è stata più volte sottoposta a detenzione arbitraria, tortura e orribili maltrattamenti. La sua famiglia denuncia che le autorità stanno bloccando il suo accesso a cure mediche urgenti.

Una foto di Narges Mohammadi proiettata sulla parete del Gran Hotel di Oslo in occasione del Premio Nobel per la pace a lei assegnato nel 2023
Una foto di Narges Mohammadi proiettata sulla parete del Gran Hotel di Oslo in occasione del Premio Nobel per la pace a lei assegnato nel 2023

Una foto di Narges Mohammadi proiettata sulla parete del Gran Hotel di Oslo in occasione del Premio Nobel per la pace a lei assegnato nel 2023

(REUTERS)

La persecuzione nei confronti della coraggiosa attivista era cominciata già nel 2012, quando la donna è stata arrestata per la prima volta, condannata a sei anni di carcere, ma poi rilasciata per motivi di salute. In seguito, è stata incarcerata altre volte e ha trascorso diversi periodi di detenzione.

Nel 2022 la Bbc l’ha inserita nella lista delle donne più influenti del mondo. Dal 1999 è sposata con un giornalista, Taghi Rahmani, anche lui difensore dei diritti umani, anche lui perseguitato dal regime. Dopo aver scontato 14 anni di carcere, suo marito si è trasferito in Francia. Lei ha deciso di restare nel suo Paese.

A giugno del 2025, in un momento di particolare tensione fra Israele e Iran, Mohammadi ha levato ancora una volta la sua voce con il regime del suo Paese e ha firmato un appello, insieme ad altre figure di attivisti e intellettuali iraniani – fra i quali Shirin Ebadi e i registi Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof - per chiedere la cessazione dell’arricchimento dell’uranio da parte della Repubblica Islamica, per la fine della guerra e degli attacchi militari fra i due Paesi, e lo stop ai massacri di civili.