Il beach volley evoca sole, luce, mare. L’oceano in effetti si agita lì vicino, ma nella notte di Rio (si gioca a mezzanotte locali) fa buio e piove a dirotto. La sabbia di Copacabana s’appiccica ai piedi e il sogno di Lupo (con la maiuscola) e Nicolai alla fine luccica “solo” d’argento. Finché non arrivi fin lì, firmeresti per arrivare sotto l’acqua dell’inverno brasiliano a giocartela nella tana del lupo (con la minuscola), dove il beach volley è una cosa seria, mica un gioco per tipi da spiaggia.

Ed è probabile che per qualche giorno Daniele Lupo rivedrà in sogno quella schiacciata
servita su un piatto d’argento che avrebbe potuto cambiare indirizzo alla partita, sognando ogni volta che la palla vada a perdersi nella sabbia del campo avversario. Ma lungo il corso della storia e della vita, alla fine sarà solo un dettaglio.

Nell’ultimo anno Daniele Lupo, 25 anni, due volte campione  europeo con Paolo Nicolai, ha giocato due partite importanti in parallelo. Quella facile portava a Rio 2016,
quella difficile fuori da un guaio a un ginocchio che sembrava un infortunio come tanti e invece era un tumore osseo per cui è finito in ospedale operato d’urgenza nel marzo 2015. Poteva non arrivare a Rio, Lupo, poteva essere a giocare nelle sabbie mobili contro un avversario più complicato della coppia brasiliana Alison Cerruti-Bruno Schmidt. Invece ha potuto giocare e giocarsela a Copacabana, perché tutto il resto si è risolto senza strascichi con l’intervento chirurgico.

E un giorno, smaltita la delusione immediata di aver sfiorato l’oro senza afferrarlo,  Lupo ci penserà e sorriderà a quella schiacciata sbagliata a porta vuota e magari si dirà che che quel tiro sbilenco era il debito da pagare alla sorte che aveva dato e ora chiedeva.  Tanto più che i brasiliani non avrebbero mollato così facilmente davanti alla torcida caldissima benché inzuppata, neanche se la zampata di Lupo fosse riuscita perfetta.