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di Chiara D'URbano, consultrice del Dicastero del Clero*
Noi adulti ci guardiamo intorno e proviamo sgomento. Cosa sta succedendo ovunque nel mondo? Domanda superflua.
Poi arrivano loro, i giovani dalle più diverse parti del mondo, a bucare la nube oscura che abbiamo nel cuore.
Neppure loro sono ingenui, sia chiaro, anche loro seguono le notizie quotidiane, sanno bene cosa sta accadendo, e hanno paura sì del loro presente e del loro futuro.
Allora guardano noi, genitori, educatori ed educatrici, formatori e formatrici, parroci, sacerdoti e religiose e vorrebbero vedere nei nostri occhi – almeno nei nostri – sulle espressioni del nostro viso, fiducia e incoraggiamento, perché se anche i grandi perdono la speranza, loro rischiano di smarrirsi.
Cosa diremo alle centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi in questi giorni di Giubileo dedicati proprio a loro? A tutti quelli che hanno voluto esserci, a Roma, portando nel cuore anche gli amici e le amiche che non sono potuti partire.
Non possiamo abbindolarli con parole di circostanza, se ne accorgono.
Non possiamo fare sermoni forbiti, non sanno cosa farsene. O inzepparli di formazione per trasmettere contenuti formali. Diserterebbero le piazze.
Vorremmo essere per i ragazzi e le ragazze che vediamo camminare, affollare la metro, trovarsi in gruppo (che scenari incredibili) quelle presenze che aiutino a credere che c’è un posto nella vita e nella Chiesa per ciascuno di loro. Quel posto che si chiama “casa” dove si può essere se stessi in pienezza.
Pienamente uomini e pienamente donne.
La parola “felicità” non rappresenta un lusso della società moderna. Papa Francesco ci ha abilitati a usarla nel senso più cristiano del termine.
“Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare a essere felici in modo nuovo” (Al, n. 232).
È un invito chiarissimo a non accontentarsi di vivacchiare, a non comprendere il senso della croce e del sacrificio come una specie di esistenza zoppa o fatta di timori. Piuttosto, è un rilancio del vangelo in chiave di pienezza umana: trova il luogo, la strada dove puoi esprimere il meglio di te. La volontà di Dio, questa espressione così diffusa, ma anche stranamente compresa, è la piena realizzazione di sé. Come dire: in questa strada il cuore, l’amore, si espande al massimo possibile. Altrove, qualche pezzetto rimarrebbe escluso.
La vocazione è mica l’adempimento di un mandato che arriva dall’alto. Dove un Dio manager decide chi deve fare cosa, e come a scuola al momento dell’interrogazione si china il capo per passare inosservati, non sia mai che il Signore chiami proprio me!
Non ci nascondiamo, è tosto il tempo attuale, ma che senso potrebbe avere un Giubileo se non quello di dire: il posto per te c’è. Ci sarà da migliorare, affinare il carattere, provare a varcare il confine della paura, ma il posto per te c’è.
Se qualcuno ti dice che devi lasciare dei pezzi di te fuori casa, semplicemente non è casa. Se qualcuno pensa di vedere quale sia il luogo per te, prima di te, o nonostante te, non è casa.
Porta pazienza, attendi, perché ad un certo momento quel luogo si trova. È una ragazza, un ragazzo, la porta di un seminario, di una comunità, un’esperienza fraterna, chissà.
Che noi adulti sappiamo rispettare tempi e passi di ciascuno, sappiamo essere quelle presenze autentiche, oneste, rassicuranti che ascoltano, accolgono, aiutano a tracciare percorsi inediti, a misura di ognuno.
In copertina, i ragazzi fuori da San Paolo passano la Porta Santa



