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«Un errore non provvedere subito alla depenalizzazione del reato di clandestinità, o più precisamente di ingresso e soggiorno irregolare. Un reato che umilia le persone e non garantisce sicurezza». Monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, chiede al Governo di superare l’emotività e i calcoli politici e di rimettere subito in calendario l’abolizione di un reato che «sanziona non un comportamento, ma una condizione e come tale, come ha sancito anche la Corte europea, è profondamente ingiusto».
Agitando questo spettro, nora, «si è giocato sulla paura», incalza don Soddu, «ma giocando sulla paura non si risolve proprio niente, anzi si acutizzano dei fenomeni che non solo portano alla non accoglienza dell’altro, ma contribuiscono alla non maturazione delle persone».
Don Soddu ricorda uno dei più tragici naufragi sulle coste di Lampedusa, quello che costò la vita a quasi 400 persone: «Se fossero arrivate vive, queste persone sarebbero incorse nel reato di clandestinità. Da morte le abbiamo piante e ci siamo commossi davanti alle loro bare. L’opinione pubblica italiana e mondiale ha fatto di quei morti dei martiri e come tali sono stati trattati. Ma non avremmo avuto lo stesso rispetto per loro se fossero arrivati vivi».
Il direttore della Caritas sottolinea che «non si può legiferare sull’emotività, tantomeno sulla paura. Occorre avere coraggio, vanno educate le persone, e, sulla base di questa buona educazione, si può legiferare. Ricordando anche che i fenomeni non si possono affrontare in modo demagogico ». Don Soddu ne è convinto, dati alla mano: «Il reato di clandestinità, tanto sbandierato, non ha prodotto alcun risultato positivo. Si è buttato fumo negli occhi, ma di fatto al massimo si è potuta comminare una sanzione pecuniaria che in ogni caso nessuno ha potuto pagare. Il tutto, però, ha appesantito il percorso giudiziario ordinario, ha intasato le procure e tutta la procedura. E, d’altra parte, ha impedito che una certa attenzione, quella dovuta, potesse essere messa in atto contro coloro che sono i veri trafcanti degli esseri umani. Questo è uno dei problemi».
Inoltre, continua il direttore della Caritas, «questo reato impedisce di affrontare davvero il fenomeno, di considerare la povertà delle persone che arrivano, di predisporre percorsi di attenzione, di accoglienza, di integrazione, di accompagnamento». Don Soddu ricorda anche il richiamo del Papa e il vademecum predisposto dalla Conferenza episcopale per accogliere gli immigrati in parrocchia e nelle comunità ecclesiali: «Anche per procedere più speditamente in questo percorso bisogna immediatamente abolire il reato di clandestinità, altrimenti non si va da nessuna parte. E, anzi, non solo non si accoglie chi ha bisogno, ma si imbarbarisce la nostra cultura. È ovvio che chi delinque, che sia italiano o straniero, va perseguito, ma chi fugge da guerre, fame, povertà cosa ha compiuto di male per essere punito? Si può classicare come reato il cercare di fuggire dalla morte? Su questo bisogna riflettere».
Agitando questo spettro, nora, «si è giocato sulla paura», incalza don Soddu, «ma giocando sulla paura non si risolve proprio niente, anzi si acutizzano dei fenomeni che non solo portano alla non accoglienza dell’altro, ma contribuiscono alla non maturazione delle persone».
Don Soddu ricorda uno dei più tragici naufragi sulle coste di Lampedusa, quello che costò la vita a quasi 400 persone: «Se fossero arrivate vive, queste persone sarebbero incorse nel reato di clandestinità. Da morte le abbiamo piante e ci siamo commossi davanti alle loro bare. L’opinione pubblica italiana e mondiale ha fatto di quei morti dei martiri e come tali sono stati trattati. Ma non avremmo avuto lo stesso rispetto per loro se fossero arrivati vivi».
Il direttore della Caritas sottolinea che «non si può legiferare sull’emotività, tantomeno sulla paura. Occorre avere coraggio, vanno educate le persone, e, sulla base di questa buona educazione, si può legiferare. Ricordando anche che i fenomeni non si possono affrontare in modo demagogico ». Don Soddu ne è convinto, dati alla mano: «Il reato di clandestinità, tanto sbandierato, non ha prodotto alcun risultato positivo. Si è buttato fumo negli occhi, ma di fatto al massimo si è potuta comminare una sanzione pecuniaria che in ogni caso nessuno ha potuto pagare. Il tutto, però, ha appesantito il percorso giudiziario ordinario, ha intasato le procure e tutta la procedura. E, d’altra parte, ha impedito che una certa attenzione, quella dovuta, potesse essere messa in atto contro coloro che sono i veri trafcanti degli esseri umani. Questo è uno dei problemi».
Inoltre, continua il direttore della Caritas, «questo reato impedisce di affrontare davvero il fenomeno, di considerare la povertà delle persone che arrivano, di predisporre percorsi di attenzione, di accoglienza, di integrazione, di accompagnamento». Don Soddu ricorda anche il richiamo del Papa e il vademecum predisposto dalla Conferenza episcopale per accogliere gli immigrati in parrocchia e nelle comunità ecclesiali: «Anche per procedere più speditamente in questo percorso bisogna immediatamente abolire il reato di clandestinità, altrimenti non si va da nessuna parte. E, anzi, non solo non si accoglie chi ha bisogno, ma si imbarbarisce la nostra cultura. È ovvio che chi delinque, che sia italiano o straniero, va perseguito, ma chi fugge da guerre, fame, povertà cosa ha compiuto di male per essere punito? Si può classicare come reato il cercare di fuggire dalla morte? Su questo bisogna riflettere».



