Il caso del piccolo Enea ha acquisito una vasta risonanza mediatica, e ha riportato alla cronaca  la facoltà per le donne di avvalersi della legge per il parto in anonimato. L’appello dell’opinione pubblica si è levato verso la madre biologica, alla quale viene chiesto di tornare sui propri passi e riprendere con sé il piccolo, disponendo degli aiuti che in molti si sono prodigati di offrire. La gravità del gesto infatti, secondo il parere di molti, sta nel condannare il neonato all'adozione, come se si trattasse di una genitorialità di “serie B”. Ne parliamo con Francesca Mineo, che racconta la sua esperienza di mamma adottiva nel suo nuovo libro Nessuno è perfetto, ma l’amore sì (San Paolo Editore).

«Io e mio marito siamo genitori di un ragazzino di origine cinese, arrivato in Italia con noi quando aveva cinque anni e mezzo. Ora ne ha quattordici. Si tratta di un bambino ipovedente, che ha una visione limitata a causa di una patologia congenita abbastanza diffusa in Asia: questo è stato lo spunto per il secondo libro, che si propone di riflettere su come gestire questo bisogno speciale nel suo evolvere. Non racconto solo lo specifico momento in cui ce lo comunicano durante l’abbinamento, ma anche di quando poi negli anni si trasforma e chiama in causa altre tematiche. È vero che sapevamo fin dall’inizio dell’iter di questo suo bisogno speciale, ma non gli abbiamo mai dato troppo peso nella vita quotidiana. Pone delle limitazioni che iniziamo a notare soprattutto ora, durante l’adolescenza, quando si comincia a discutere di autonomia».

Quello dei bisogni speciali è un tema nuovo perché gli stessi media ci abituano a vedere una realtà edulcorata dell’adozione. Cosa sono e perché se ne parla così poco?

«Se ne parla poco perché, come tutte le cose che divergono un po' dalla normalità, incutono timore. Oppure se ne parla a sproposito. In realtà, se ne parla poco anche perché il mondo delle adozioni è molto cambiato negli ultimi anni. Molte persone ne hanno ancora un’immagine abbastanza stereotipata, in cui il bambino è piccolo, in età prescolare, che attende trepidante l’abbraccio con mamma e papà. Sono tutti concetti poco conformi alla realtà. I bambini che vanno in adozione, tutti, a prescindere dai singoli bisogni speciali, sono segnati dal trauma dell’abbandono e non solo da parte della madre: in realtà, c'è una folla di persone intorno al bambino che non ha fatto nulla o che ha deciso, per varie ragioni, di scegliere l'abbandono. Questo, sia che avvenga alla nascita o più avanti nel tempo, resta un trauma. Il bisogno speciale, che può essere di natura fisica o psicologica, è quindi  qualcosa che si va ad innestare sopra questo bisogno primario. Anche la necessità di essere adottati coi propri fratelli e sorelle, per mantenere un equilibrio che altrimenti andrebbe a creare ulteriori danni, è annoverata come un bisogno speciale. Altra considerazione importante da fare è l’età del bambino in adozione: avere più di sette anni, secondo l’AIA, è da considerare un bisogno speciale. Per convenzione, affinché gli enti autorizzati possano inserire in categorie specifiche questi bambini, questi bisogni vengono etichettati nella scheda di ciascun bambino. Lo scopo del mio libro è anche quello di suggerire di non guardare a queste classificazioni in modo così netto. Qualsiasi sia la situazione, è un qualcosa di assolutamente gestibile in ambito familiare».



Abbandono e accoglienza sono i due poli su cui si gioca il rapporto genitori-figlio adottivo. Come si sviluppa durante gli anni?

«Come dicevo, il primo e vero bisogno speciale da imparare a gestire è l’abbandono, il bisogno trasversale a cui tende sempre un po' tutto e che nelle varie fasi della vita si ripresenta. Generalmente questi bambini hanno una grande capacità adattiva, ma è normale che torni a far capolino nella loro e nella nostra vita. Occorre tenerne conto».

Da genitori, qual è l’emozione preponderante durante il percorso dell’adozione?

«Generalmente si percepisce il percorso adottivo come qualcosa di estremamente faticoso. In realtà, la chiave di lettura di tutto questo iter è soltanto una: saper accogliere l’alterità, accettando l’idea che nostro figlio, anche se caucasico, non ci assomiglierà. Ci somiglierà nei gesti, nelle movenze, ma non fisicamente. Sicuramente l’adozione non è una cosa per tutti, perché bisogna essere pronti ad affrontare una serie di passaggi che richiedono molto pazienza: incontri coi servizi sociali, aspettarne la relazione, la sentenza del giudice, i corsi di preparazione...».

Secondo la percezione comune, nel nostro Paese la lunga ed estenuante burocrazia rende il processo dell’adozione difficile. Tuttavia lei afferma che, secondo i dati, l’Italia è la prima in Europa e seconda nel mondo per numero di adozioni.

«La percezione distorta è dovuta a molti fattori, si veda già nel caso di Enea. È tuttavia inutile paragonare la burocrazia generica a quella delle adozioni. Quest’ultima richiede almeno un anno, ma è necessaria affinché vengano fatti tutti i passaggi necessari per un’adozione in linea con la legge. Il problema sta nei paesi da cui provengono i bambini, in cui l’adozione non è regolamentata e quindi dilata di molto i tempi. A causa di queste problematiche, i ragazzi crescono negli istituti, diventano grandi e diventano difficilmente adottabili. Il caso di Enea richiede l’attenzione di una coppia giovane: noi come coppia non avremmo mai potuto adottare un neonato per via dell’età. Questa storia ha avuto un’eco ingiustificata, che ha generato una notizia assordante, quando invece ci sono molte altre tematiche che restano mute ma andrebbero affrontate dai media. Io mi auguro che la sua famiglia adottiva cambi nome, per rispetto della sua privacy».

 

Il volume Nessuno è perfetto ma l'amore sì sarà presentatodall'autrice Francesca Mineo nelle seguenti date:

 sabato 22 aprile a Cervia (Hotel Dante, nell'ambito dell'assemblea generale CIAI), sabato 29 aprile alla libreria Ubik di Savona, Sabato 6 maggio alla Libreria Spartaco a Santa Maria Capua Vetere, sabato 13 maggio alla libreria Ubik di Varese