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Il dibattito sulle differenze di genere è più di una semplice questione morale. È un imperativo per il Paese, poiché l'eguaglianza economica non solo garantirebbe maggiore serenità nelle famiglie, ma libererebbe una ricchezza e un potenziale di natalità oggi inespressi. Questo è stato il tema ordine dell’incontro online “Insieme per l'indipendenza economica femminile”, organizzato dal Museo del Risparmio. Una denuncia è arrivata da Marzia Camarda, autrice del “Dizionario di Genere”. Il suo lavoro si basa sulla convinzione che “se puoi nominarlo, puoi cambiarlo”, e uno degli ambiti più urgenti è proprio quello del denaro e del potere decisionale. L’accesso all’autonomia finanziaria viene compromesso fin dalla tenera età a causa della diversa educazione al denaro tra maschi e femmine.
Studi citati nel Dizionario rivelano che i primi ricevono la paghetta più giovani e in quantità maggiore, imparando presto a gestire il denaro, risparmiare e negoziare. Le ragazze, al contrario, spendono denaro spesso accompagnate, assorbendo l’idea che la gestione finanziaria spetti ad altri. Questa distinzione infantile è un fattore che contribuisce a un dato allarmante: una donna su 3 in Italia, non possiede un conto corrente bancario, esponendosi a gravi conseguenze, tra cui la violenza economica. Per Camarda, non poter gestire i soldi è “altamente invalidante” perché significa non poter prendere decisioni che riguardano la propria vita e non poter tutelare la propria indipendenza. Ma quali sono i meccanismi che alimentano la disparità economica?
Tra questi sicuramente figura il giudizio sulla carriera. Etichette come “donna in carriera” veicolano una sfumatura negativa, priva di corrispettivo maschile. L’ambizione femminile viene associata a qualcosa di “spiacevole” o fuori dalla norma, influenzando la capacità delle donne di negoziare gli stipendi. Questa mancata negoziazione, combinata con il ruolo di cura tradizionalmente assegnato alle donne, le spinge a lavorare part-time. Si generano così fenomeni come lo sticking floor (il "pavimento appiccicoso" che blocca la loro crescita professionale) e la segregazione occupazionale, che le confina in settori femminilizzati e sottopagati.
La penalizzazione della maternità. La motherhood penalty è un costo invisibile. Si presume che la madre non sarà in grado di occuparsi del lavoro con la stessa efficacia, bloccandone la carriera. Curiosamente, quando gli uomini diventano padri, questo si traduce spesso in un aumento di stipendio, in quanto ritenuti giustamente bisognosi di maggiori risorse per il nuovo nucleo familiare.
Il peso della storia e della società. Pensiamo solo all’etimologia: in origine Patrimonio (gestione dei soldi) si opponeva a Matrimonio (il dovere di fare figli). Oggi, questo vecchio sistema è tenuto in vita dal lavoro di cura gratuito: l'idea che non si debba "pagare" ciò che si fa per "amore" impedisce alle donne di dare un valore al proprio tempo e di negoziare, lasciandole in uno stato di costante dipendenza economica.
La lezione del “Dizionario di Genere” è chiara: l’urgenza di promuovere una consapevolezza e un’educazione finanziaria per le donne è il passo cruciale per smantellare una cultura che le ha storicamente escluse dal potere economico. Solo così l’impegno potrà tradursi in una piena autonomia economica che è, a tutti gli effetti, la premessa di ogni libertà.
Oltre al discorso della Camarda, sono intervenute anche Rita Querzè, giornalista del Corriere della Sera, referente dell'iniziativa “Una donna, un lavoro, un conto” e Natascha Lusenti, giornalista e autrice del libro “Il coraggio di contare. Storie di donne, finanza ed etica nell’Italia contemporanea”. L'appuntamento sarà pubblicato prossimamente in versione integrale sul canale Youtube del Museo del Risparmio.



