A un mese esatto dalle elezioni politiche nazionali e da quelle in tre Regioni (Lombardia, Lazio e Molise) è possibile elencare quattro caratteristiche di una “campagna” come non se ne ricordano altre nella storia della Repubblica. La prima è la compresenza di tre candidati alla guida del Paese, Bersani, Berlusconi e Monti, quando nei decenni trascorsi fino al 1994 la nomina a Palazzo Chigi era affidata alle procedure parlamentari seguenti al voto popolare, mentre negli ultimi 18 anni il duello anticipato era fra due, Berlusconi e un suo temporaneo rivale (due volte Prodi, che lo sconfisse).
La seconda novità è che di partiti in quanto tali non ne è rimasto in campo che uno: il Pd di Pier Luigi Bersani (anche se al suo interno esistono scontri non da poco sia sui programmi sia sulle future alleanze). Il Pdl di Silvio Berlusconi è sostanzialmente un vuoto ideologico in cui si agitano voci contrapposte di “correnti” soprattutto personalistiche, trasformatesi negli ultimi mesi in liste elettorali distinte, mentre nel Popolo della libertà vero e proprio è stata aperta fino all’ultimo la resistenza alla rinuncia da parte di candidati “impresentabili” dal punto di vista giudiziario. Quello che conta è la presenza del Cavaliere, la sua “campagna” radiotelevisiva davvero impressionante.
Infine, Monti non ha dietro di sé un partito, ma una convergenza di candidature provenienti dalla società civile, culturalmente e ideologicamente inclini a ritenersi non già “moderate”, per raccogliere il voto dei ceti medi, ma “riformiste”, secondo i precetti dello stesso leader per un’Italia “nuova” da realizzare attraverso una “scelta civica”.
La terza caratteristica di questa “campagna” nuova rispetto al passato è che per la prima volta conta moltissimo il Web, cioè il dialogo ininterrotto fra alcuni milioni di cittadini e i politici su Internet, il che fra l’altro sembra poter spiegare il forte impatto sui sondaggi dei nuovi “populisti”, da Grillo a Ingroia, accanto a una finora inedita propensione all’astensionismo.
La quarta (ma certo non ultima) caratteristica del momento è la fortissima prevalenza della questione fiscale nel dibattito programmatico fra le forze in campo. Pagare le tasse non piace a nessuno, tanto più quando continuano ad aumentare (sotto forme diverse) e quando non se ne vedono concretamente i vantaggi per uno Stato e le sue Regioni, in cui si manifesta una crescente incapacità di corrispondere alle spese per i pubblici servizi. Sotto le continue proteste (e promesse) antitasse di Berlusconi e Maroni e le velate concessioni di Bersani, il “Professore”, cioè il maggiore accusato di tartassare gli italiani con le imposte, ha parlato, al suo debutto nella “campagna” domenica scorsa a Bergamo, di una «misurata e graduale riduzione delle tasse», senza riferimenti particolari. Vedremo se gli basterà.
La seconda novità è che di partiti in quanto tali non ne è rimasto in campo che uno: il Pd di Pier Luigi Bersani (anche se al suo interno esistono scontri non da poco sia sui programmi sia sulle future alleanze). Il Pdl di Silvio Berlusconi è sostanzialmente un vuoto ideologico in cui si agitano voci contrapposte di “correnti” soprattutto personalistiche, trasformatesi negli ultimi mesi in liste elettorali distinte, mentre nel Popolo della libertà vero e proprio è stata aperta fino all’ultimo la resistenza alla rinuncia da parte di candidati “impresentabili” dal punto di vista giudiziario. Quello che conta è la presenza del Cavaliere, la sua “campagna” radiotelevisiva davvero impressionante.
Infine, Monti non ha dietro di sé un partito, ma una convergenza di candidature provenienti dalla società civile, culturalmente e ideologicamente inclini a ritenersi non già “moderate”, per raccogliere il voto dei ceti medi, ma “riformiste”, secondo i precetti dello stesso leader per un’Italia “nuova” da realizzare attraverso una “scelta civica”.
La terza caratteristica di questa “campagna” nuova rispetto al passato è che per la prima volta conta moltissimo il Web, cioè il dialogo ininterrotto fra alcuni milioni di cittadini e i politici su Internet, il che fra l’altro sembra poter spiegare il forte impatto sui sondaggi dei nuovi “populisti”, da Grillo a Ingroia, accanto a una finora inedita propensione all’astensionismo.
La quarta (ma certo non ultima) caratteristica del momento è la fortissima prevalenza della questione fiscale nel dibattito programmatico fra le forze in campo. Pagare le tasse non piace a nessuno, tanto più quando continuano ad aumentare (sotto forme diverse) e quando non se ne vedono concretamente i vantaggi per uno Stato e le sue Regioni, in cui si manifesta una crescente incapacità di corrispondere alle spese per i pubblici servizi. Sotto le continue proteste (e promesse) antitasse di Berlusconi e Maroni e le velate concessioni di Bersani, il “Professore”, cioè il maggiore accusato di tartassare gli italiani con le imposte, ha parlato, al suo debutto nella “campagna” domenica scorsa a Bergamo, di una «misurata e graduale riduzione delle tasse», senza riferimenti particolari. Vedremo se gli basterà.


