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Che senso ha intervistare in prime time un uomo che la legge ha condannato come assassino e predatore sessuale di una minorenne in tutti e tre i gradi di giudizio? Potrebbe servire a sensibilizzare l’opinione pubblica intorno al tema della pedofilia e della necessità di farne prevenzione sia con le potenziali vittime sia con i potenziali criminali. Potrebbe aiutarci a capire come il male che abita dentro ciascuno di noi, necessita di essere governato e dominato, pensato e non agito. Purtroppo, ascoltare l’intervista andata in onda a Bossetti, all’interno della versione Crime del programma Belve, lascia queste intenzioni totalmente non assolte. L’intervista andata in onda, lo devo ammettere, mi ha generato un grande disagio, sia come uomo, che come padre, che come professionista. Le domande volevano fare chiarezza su un fatto criminale gravissimo, confrontandosi con il colpevole (dichiaratosi innocente nel corso di tutta l’intervista, contro ogni ragionevole dubbio). Ma non si può fare chiarezza in un’intervista in cui chi fa le domande usa la lente degli indizi di colpevolezza e chi risponde fornisce un’unica versione dei fatti: qualsiasi cosa sia stata rilevata contro di me, non mi riguarda perché io non c’entro nulla. Un confronto tra oggettività e soggettività che non ha aggiunto nulla alla comprensione del caso.
In secondo luogo, bisognerebbe domandarsi se questo genere di trasmissioni, non rappresenti un’occasione di vittimizzazione secondaria per i congiunti che hanno visto uccidere in modo atroce un proprio familiare. Le domande dell’intervistatrice a volte hanno portato il colpevole (per la legge) a fare affermazioni che tendevano a mostrare il papà della ragazza assassinata come una persona poco coinvolta nel suo dramma familiare. La stessa intervistatrice a volte sentiva l’imbarazzo enorme di ciò che veniva detto nella sua trasmissione. Infine, le domande hanno girato a lungo intorno ai comportamenti sessuali del colpevole e della sua consorte. Si è saputo di tradimenti e di navigazioni pornografiche, di ricerche sui motori di ricerca di immagini e situazioni che potevano rappresentare il movente che ha condotto al raptus omicida. Ora, su questi temi si può avere un duplice approccio: quello morboso che scandaglia il tema per aumentare la curiosità dello spettatore oppure quello scientifico che scandaglia un tema, per problematizzarlo e per renderlo un argomento da approfondire in termini educativi, preventivi, psicologici. Ritengo che ciò che la pornografia mette nella mente e nelle vite dei suoi fruitori, porti ad una normalizzazione cognitiva di pensieri, fantasie e pratiche che per alcuni soggetti diventano poi difficili da governare a livello intrapsichico, slatentizzandone (chiaramente in alcuni casi e solo in soggetti già molto fragili sotto questo punto di vista) comportamenti conseguenti. Una trasmissione che chiede all’intervistato cosa ha fatto si identifica con la procedura delle forze dell’ordine che devono raccogliere fatti e indizi, ma non è in grado di fornire allo spettatore chiavi di lettura che vanno al di là degli aspetti puramente comportamentali, non porta alla comprensione dei significati e degli aspetti psicologici correlati agli agiti.
Si cerca di capire cosa è successo e si tralascia completamente la comprensione del “perché” è successo quel “cosa. In questa intervista, ho più volte percepito che la stessa conduttrice si percepisse come intervistatrice di domande che si andavano arrotolando su se stesse. Resta il dato di fatto che forse, il format di Belve non si addice a temi che appartengono ad altri format e che proprio strutturalmente diversi nelle intenzioni e nello sviluppo dei contenuti, permettono, partendo dalla storia della vittima (vedi Amore criminale scritto da Matilde D’Errico) o del colpevole (vedi Storie Maledette di Franca Leosini) di andare oltre il prurito voyeuristico e di approfondire e conoscere bene ciò che è rischio e ciò che è protezione/prevenzione/educazione in vicende che mettono in scena il peggio degli esseri umani. In “Belve Crime” si è solo visto il peggio. Niente più. E lo si è visto senza capo né coda, con una modalità capace di fare spettacolo e non di fare cultura. Obiettivo che su aspetti cosi intensi e pregnanti delle nostre vite, dovrebbe rappresentare una priorità assoluta.
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