Cari amici lettori, mentre ci sono giovani che millantano le loro conquiste sentimentali stilandone un elenco che ­ finisce sotto gli occhi di un intero istituto, ce ne sono altri che battono vie diverse e scoprono un senso alla vita a partire da esperienze di fede condivise. Di recente l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha incontrato una cinquantina tra ragazzi e ragazze che stanno vivendo un’esperienza di vita comune, condividendo in 5-6 un appartamento, accomunati da una fede condivisa e dalla ricerca del proprio “posto nella vita” e accompagnati discretamente da un prete o da una suora “dietro le quinte”. A ogni ragazzo/a è stato chiesto di rileggere la propria esperienza a partire da una parola del Vangelo, evidenziando così come per loro la Parola del Signore fosse una luce sulla vita, riletta con occhi nuovi a partire proprio all’esperienza

di vita condivisa. Quello che colpisce, in queste testimonianze raccolte sul sito della Chiesa di Milano da Annamaria Braccini, è come la fede possa essere generativa di relazioni nuove, fraterne, anche con persone che non si conoscevano, di legami, di esperienze di accoglienza reciproca, di spazi di umanità umile e in ricerca. Parole – legami al di là del “sangue”, fraternità, amicizia, condivisione – che da sempre hanno caratterizzato la vita cristiana, che non è solo ricerca personale, solitaria ma anche esperienza di comunità. Che racchiude un potenziale di crescita, di passaggio dall’io al noi e di umanizzazione che oggi forse sottovalutiamo o rischiamo di perdere in tempi di individualismo e solitudine. È significativo che ci siano anche famiglie che cercano esperienze di “vita comune” simili, ognuna con i suoi spazi ma in un complesso più grande condiviso. L’esperienza dei giovani del Milanese mi ha richiamato alla memoria la parrocchia in cui sono cresciuto a Modena, la “Madonnina”. Mi colpisce sempre che, pur mancandone da 30 anni (ci torno alcune volte l’anno quando vado a visitare la mia famiglia), si sono non solo mantenuti, ma persino rinsaldati legami di amicizia fraterna con tanti dei miei (ex) -“parrocchiani”. Tornare a casa dai miei genitori è anche tornare a questa “grande famiglia della fede” (ricordiamo le parole di Gesù: «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre») a cui mi sento legato dalla sequela del Signore, diventata affetto fraterno, partecipazione alle gioie e ai dolori di un gruppo di persone altrimenti eterogeneo (abbiamo sensibilità ecclesiali e politiche diverse l’uno dall’altro, per dire).

E devo dire che in quella comunità parrocchiale, pure un po’ “sgarrupata” e come tante altre con i suoi problemi, si respira un vivo senso di fraternità e amicizia. Come ha sintetizzato ai ragazzi del Milanese incontrati da monsignor Delpini don Marco Fusi: «La Chiesa è una famiglia e una casa e voi che vivete in una casa lo potete testimoniare, fatelo».

In tempi che sentono la Chiesa come “distante”, distaccata, lontana dalla vita e da ciò che ci tocca nelle corde più personali della vita, è un’esperienza preziosa, che anche nelle nostre parrocchie va coltivata e incentivata, perché ha un potenziale umano e missionario.