L'altro ieri sono passato in edicola e ho comprato un’intera mazzetta di quotidiani. Li ho letti tutti, da cima a fondo. Così come ho seguito in tv le innumerevoli trasmissioni (dalla lacrima facile) dedicate alla morte di Pippo Baudo. Un diluvio di parole, ricordi, aneddoti, testimonianze di affetto da parte di colleghi, soubrette, cantanti, artisti, alti funzionari tv. Tutto sacrosanto. Baudo è stato, per sessant’anni, signore assoluto della televisione italiana, il Pippo nazionale. Eppure, nello sproloquio di superlativi, in questo affannarsi per celebrare il caro estinto, non sono riuscito a ritrovare la persona che ho conosciuto, che avevo frequentato quotidianamente, non solo per lavoro. Un santino, una sorta di figurina invece dell’individuo vivo nella mia memoria. Non sono stato con lui per lungo tempo: quattro stagioni televisive, a metà degli anni Ottanta. Allora, collaboravo con la Rai proprio come addetto stampa delle trasmissioni di Baudo. Una fortuna ma anche un lavoro massacrante, formativo, che mi tenne impegnato a tempo pieno senza guardare l’orologio, il calendario, i ritmi familiari. Prima Fantastico 5 (successo che consacrò Heather Parisi con la sigla Crilù e lanciò Eleonora Brigliadori), a seguire Fantastico 6 (successo ancora maggiore che rivelò il talento di Lorella Cuccarini) e poi Fantastico 7 (quello della concorrenza tra la Cuccarini e Alessandra Martines più gli sketch del trio Solenghi-Marchesini-Lopez). Ma non finì qui: mentre ogni sabato in prima serata andava in onda Fantastico, il giorno successivo si lavorava alla puntata di Domenica in, che spesso riciclava gli ospiti dello show regalando loro maggiore spazio e clima più rilassato. Il programma durava nove mesi, quanto il campionato di calcio di serie A (delle cui notizie era vate Paolo Valenti). C’è di più: erano gli anni caldi della battaglia tra la Rai e la Fininvest di Silvio Berlusconi. I piani alti di viale Mazzini volevano un varietà che calamitasse gli ascolti anche in primavera, così l’intera redazione si trasferì a Montecatini Terme per confezionare Serata d’onore: spettacolo dedicato ogni sera a celebrare la carriera di un artista diverso, attore o cantante che fosse. Era la prima volta, Sanremo a parte, che la Rai confezionava in trasferta un grande spettacolo di prima serata. Insomma, per quattro anni, escluse le vacanze estive, ho lavorato e vissuto gomito a gomito con Baudo, uno che davanti e dietro al palcoscenico non si risparmiava e perciò amava chi faceva come lui. Rammento che, chiusa la puntata di Domenica in, era solito partire in aereo per Catania, dove rimaneva un paio di giorni. All’alba del mercoledì, prima d’imbarcarsi sul primo volo per Roma, mi telefonava tirandomi giù dal letto per concordare le interviste: mai saltata una. Giornali, tv, radio private (c’era il boom): nessuno andava snobbato. Parola d’ordine: rispettare il lavoro di tutti.

       Rammento le riunioni di Pippo con i suoi fedeli autori: Bruno Broccoli (storico e filologo, vera anima napoletana nonché papà di Umberto, a sua volta autore televisivo e archeologo); Giorgio Calabrese (paroliere per Umberto Bindi, Antonio Carlos Jobim, Mina, Charles Aznavour o Ornella Vanoni di celebri canzoni come Arrivederci, Il nostro concerto, La ragazza di Ipanema, E se domani, Morir d’amore, Domani è un altro giorno); Franco Torti (autore e grande esperto di cinema, al quale nessun attore o diva sapeva negarsi) e Marco Zavattini (figlio non da meno di Cesare, poeta e scrittore del neorealismo). Che spettacolo le loro discussioni! Quell’accapigliarsi attorno a un concetto, a un’idea di spettacolo, a un personaggio da proporre al pubblico in questa o in quell’altra maniera. Quanto mestiere ho imparato rubandolo a loro. Non sono queste, però, le cose che mi tornavano alla mente mentre le reti, tutte, senza distinzione, celebravano il lutto televisivo. Piuttosto, era un affastellarsi di flash, di episodi. Come quando, il 6 gennaio 1985, conclusa tra pacche e abbracci l’ultima puntata di Fantastico, uscimmo dal Teatro delle Vittorie a notte fonda e scoprimmo che a Roma era nevicato. Una nevicata pazzesca, mai vista. Ogni cosa era ovattata. In giro non c’era più nessuno, figurarsi i taxi. Con noi aveva fatto le ore piccole Claudia Vinciguerra, storica giornalista del quotidiano Il Giorno, collega simpaticissima ma senza auto. Già pensavo a come risolvere quando in strada si affacciò Baudo che, col suo vocione, mi disse: “Maurizio, pensi tu all’amica Claudia”. La caricai sulla mia ansimante utilitaria e insieme solcammo pian piano la neve di mezza Roma fino a trovare casa. Chiudendo lo sportello, lei disse: “Ringrazia Pippo da parte mia”. Mi colpì, perché in quel momento rappresentavo lui, la squadra della trasmissione. Ero uno della famiglia. Ecco, a Pippo piaceva fare il pater familias. In senso televisivo, naturalmente.

Conosceva tutti quelli che lavoravano con lui, più o meno nell’ombra: tecnici, elettricisti, attrezzisti, cameraman, costumiste, scenografi, redattori. Si interessava alle loro famiglie. Ne ebbi la conferma qualche mese dopo, a maggio, quando, a cavallo della pausa pranzo di un sabato di prove per l’ennesima puntata di Domenica in, me ne andai di soppiatto per raggiungere mia moglie in clinica: era appena nato Lorenzo, mio figlio, dopo un parto travagliato. Rimasi un’oretta, poi corsi via preoccupato per il ritardo. Naturalmente, Pippo se ne accorse ma, saputo il motivo, mi abbracciò forte: “Domani lo diciamo in trasmissione”. Rideva… Io, timido e impacciato, lo pregai di non farlo. Lui rispettò il mio desiderio ma, a fine puntata, spente le telecamere, volle stappare alcune bottiglie per festeggiare: era nato un altro bimbo nella nostra atipica famiglia. Un paio d’anni dopo, Lorenzo a la sua mamma, seduti sulle poltroncine di prima fila del Teatro delle Vittorie, aspettavano che finissero le prove di Fantastico. Quando Pippo entrò in scena col suo vocione, Lorenzo non si trattenne e puntando il ditino verso di lui esclamò: “Standa!”. Baudo aveva introdotto a Domenica in, per la prima volta, uno sponsor come i grandi magazzini Standa ed era diventato popolare il gingle, la musichetta che l’accompagnava. E per il bimbo, quello era il signor Standa. Baudo, divertito, si chinò su di lui accarezzando il piccolo fan... Ecco, a Pippo piaceva la partecipazione, la condivisione: della fatica, del successo, degli affetti. E’ stato così anche negli anni successivi, quando il lavoro aveva finito per separarci ma ogni tanto ci ritrovavamo per un’intervista o per scambiarci gli auguri di Natale. Uomo colto, musicista vero, gran professionista. Ma Baudo è stato soprattutto una persona dalla profonda umanità, un personaggio che non è mai voluto salire sul piedistallo e ha sempre cercato di condividere. Come quella volta che, a Montecatini, terminate le prove, centinaia di persone di una certa età si erano assiepate tra gli alberi del parco, fuori del prefabbricato in cui erano Baudo e la Ricciarelli, freschi sposi. Lei, rintronata dalla confusione, non voleva uscire ma Pippo chiuse la discussione con un perentorio: “Katia, non possiamo deluderli, sono qui per noi!”. Rammento il boato.

A questo pensavo vedendo la lunga fila di sconosciuti, di individui comuni, di telespettatori in coda per rendergli omaggio nel Teatro delle Vittorie, il “suo” teatro. Sono certo che a Pippo questa cosa sia piaciuta. Così come gli piacerà il funerale, celebrato in diretta tv oggi pomeriggio tra la sua gente, nella chiesa di Santa Maria della Stella (cui era molto devoto) della natìa Militello Val di Catania. Eccoci, caro Pippo. Tranquillo: non sarai solo, neppure in questo ultimo viaggio.