Cimici nel letto, mancanza di prodotti per l’igiene personale, abiti sporchi e cibo inadeguato: le condizioni disumane in cui versa Ilaria Salis, la maestra trentanovenne rinchiusa nel carcere di Budapest, rimbalzano da ore su tutti i media, portando all’attenzione pubblica una situazione di degrado che ben poco ha a che fare con i princìpi su cui si impernia - o dovrebbe imperniarsi - uno Stato di diritto. Su questo punto Famiglia Cristiana ha riflettuto insieme a Guido Chiaretti, Presidente dell’associazione di volontariato penitenziario Sesta Opera San Fedele, impegnata dal 1923 a prestare assistenza morale e materiale ai carcerati e a promuoverne la dignità, nonché a facilitarne il reinserimento in società. «È chiaro che questo trattamento è totalmente contro le leggi europee, perché la dignità della persona non è di certo rispettata», premette Chiaretti. «Questi mezzi servono allo Stato ungherese per alimentare la risposta emotiva delle persone e per tentare di autorappresentarsi come forte: ma questa non è forza, è solamente un abuso di potere».

Ha letto il memoriale che la stessa Salis ha inviato al suo avvocato? Che impressione le ha fatto?

«Un detenuto, per quanto grave sia il reato che ha commesso, ha il diritto di essere trattato con umanità e dignità. E questo è proprio il cuore del nostro servizio: seppure la Sesta Opera sia nata dagli esercizi spirituali, noi non siamo confessionali. Ci troviamo a lavorare con persone laiche, non religiose, che credono nella Costituzione, e la frontiera su cui ci si incontra è la difesa della dignità della persona. Nel caso di Salis è evidente che questo paradigma non ci sia».

 

La zia di Salis ha scritto a Papa Francesco per chiedere il ritorno della nipote in Italia. Ma la Chiesa può davvero smuovere qualcosa in questi casi?

«No, perché questo è un problema di giurisdizione. Un’autorità spirituale non ha potere semplicemente in quanto tale, però può lanciare messaggi forti e riscuotere solidarietà e condivisione. Come peraltro è stato fatto».

 

Il Governo italiano o il Consiglio europeo cosa potrebbero fare per risolvere la questione?

«È difficile ragionare concretamente su queste dinamiche, perché si tratta di un rapporto di forza tra due fronti, quello nazionale e quello internazionale, che spesso non vanno d’accordo. La giustizia internazionale è un po’ come una tigre senza denti: nella teoria ci sono grossi principi condivisi, ma nella pratica l’azione concreta si basa sul bilanciamento con la sovranità nazionale del singolo Stato. Essendo che a prevalere è sempre quest’ultima, è inevitabile che nascano situazioni che, paradossalmente, sono disallineate rispetto al polo europeo ma allineate con quello nazionale».

 

Salis è stata tenuta 8 giorni in isolamento, in una cella minuscola di 3m2, senza nemmeno una finestra. Quanto c’è di utile nel ricorso a questa misura?

«Direi poco. Chiaramente esistono situazioni in cui è necessario isolare un carcerato, anche per la sua sicurezza, ma sono molte di più quelle in cui non lo è affatto. Quello dell’isolamento non necessario è un problema anche per i nostri detenuti italiani, non solo per Ilaria: basta andare nelle nostre carceri per vedere che le celle di isolamento sono prive di riscaldamento e acqua calda, con situazioni veramente al limite della tortura. Usiamo allora questi casi sull’onda dei media come specchio per ragionare in termini più ampi, per guardare anche casa nostra. Io auspico che il tema in questione venga messo sotto la lente di ingrandimento dei garanti: l’isolamento potrebbe e dovrebbe essere dignitoso, ma nella realtà dei fatti non è così».