Mentre in Europa crescono la tensione e l’allerta per le incursioni di droni nei cieli di vari Paesi, il rigore dell’inverno in Ucraina è ormai alle porte e Mosca prosegue la pressione bellica sul Paese con massicci attacchi sull’intero territorio, che colpiscono dovunque, infrastrutture energetiche ma anche villaggi, centri urbani, quartieri residenziali delle città continuando a causare morti e feriti. La prospettiva di un cessate il fuoco resta lontana, in Ucraina tuttavia si guarda alle sfide del prossimo futuro e della ricostruzione del Paese. «E’ molto importante oggi per l’Ucraina sapere che dopo la guerra non saremo lasciati soli. Ricostruire il nostro Stato è un impegno che richiede non solo di ristabilire le infrastrutture ma anche di ricostituire la fiducia, la società, l’economia. E in questo l’Europa gioca un ruolo chiave». A parlare è Dmytro Lubinets, commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino da luglio del 2022, in una intervista rilasciata a Famiglia Cristiana (una parte è stata pubblicata nel numero 40 della rivista), pochi giorni dopo essere rientrato da una visita a Vienna all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra). A proposito di questa missione Lubinets spiega: «Con la Fra abbiamo discusso di come rafforzare la nostra cooperazione per proteggere i diritti fondamentali, la democrazia e il ruolo della legge in Europa. Le aree di cooperazione riguardano: la non discriminazione, il pari trattamento, la protezione dei diritti degli ucraini nei Paesi Ue, in particolare le donne costrette a lasciare il Paese a causa della guerra, e la protezione dei diritti dei bambini in tempo di crisi».  

Quali sono le priorità che dovrete affrontare per ricostruire il Paese? Da dove si dovrà cominciare e con quali risorse, non solo materiali?

«Dobbiamo cominciare dal sostegno alle persone, a partire dai più giovani, che sono il nostro futuro. Dobbiamo prenderci cura di coloro che sono stati più colpiti dalla guerra. Questo include il ritorno di tutti i cittadini ucraini illegalmente detenuti dalla Russia, il ritorno dei bambini deportati o sfollati forzatamente e il rilascio dei prigionieri di guerra. Inoltre, sono essenziali i programmi di riabilitazione, supporto psicologico e protezione legale per le vittime di guerra. Abbiamo bisogno di programmi umanitari e sociali: istruzione, supporto ai giovani, centri avanzati di riabilitazione per i veterani. E poi, l’economia: investimenti, cooperazione commerciale e scambio di tecnologie e competenze aiuteranno l’Ucraina a diventare uno Stato moderno e resiliente. Nel contempo, il sostegno dei tribunali internazionali e il meccanismo di compensazione assicureranno che la giustizia sia ristabilita. La ricostruzione non deve avvenire a spese della democrazia. La vera vittoria è una società in cui i diritti umani e la dignità di ogni individuo sono il fondamento di tutte le decisioni».

L’Ucraina già oggi conta quasi un milione e mezzo di reduci di guerra. Questo sarà uno dei grandi problemi da affrontare e gestire. In che modo?

«Dall’inizio dell’aggressione russa la comunità dei veterani è andata sempre ampliandosi. Il numero dei giovani reduci cresce ed essi prima di tutto hanno bisogno di accedere a servizi medici adeguati e a programmi di supporto psicologico. I veterani hanno bisogno di assistenza nell’adattamento alla vita civile e nella ripresa della loro partecipazione alla vita socio-economica del Paese. Per fare tutto questo in modo concreto e necessario riformare l’approccio alle politiche sui veterani. Nonostante la guerra, in Ucraina si sono avuti cambiamenti, ma i fondi restano insufficienti, bisogna migliorare la legislazione e le infrastrutture».

Una delle principali preoccupazioni di Kyiv è riportare a casa i bambini rapiti dai territori temporaneamente occupati, deportati in Russia, spesso dati in adozione a famiglie russe. Cosa si sa di questi bambini, del loro destino, delle loro condizioni? E come far sì che possano tornare indietro?

«Mosca ha cominciato la deportazione dei bambini già nel 2014. Da allora ha continuato questo crimine di guerra, che è uno degli elementi di genocidio commessi dalla Russia contro l’Ucraina. Oggi i bambini rapiti e deportati sono quasi 20mila. Ma il numero potrebbe essere anche più alto: più di 1 milione e mezzo di bambini nei territori occupati sono a rischio. La Russia stessa parla di 700mila bambini rapiti. Molti dei genitori sono stati uccisi, tanti altri sono civili detenuti illegalmente. I nostri sforzi mirano a localizzare e identificare i bambini, ma questo processo è complicato dal fatto che la Russia ha creato un catalogo online di bambini ucraini con lo scopo dell’adozione e durante la registrazione i dati personali vengono alterati. Sappiamo che Mosca ha creato un preciso sistema di deportazione: le forze di occupazione prendono i bambini, li ricollocano all’interno dei territori occupati o li deportano in Russia; creano per loro nuovi documenti russi cambiando nomi, date e luoghi di nascita; li danno in adozione a famiglie russe. Nei territori occupati vengono sottoposti a un processo di educazione e istruzione in lingua russa. Questo processo è altamente militarizzato, puntando al massimo dell’indottrinamento. I bambini ucraini, maschi e femmine, sono costretti a far parte delle organizzazioni militari russe. Credo che lo scopo sia usare l’infanzia ucraina come risorsa per la nuova generazione delle forze armate russe. Il regime di occupazione esercita vari metodi di influenza su bambini e studenti forzandoli a partecipare ad attività militari e a limitare ogni espressione dell’identità ucraina. Il coinvolgimento degli altri Paesi è cruciale: oggi esiste una Coalizione internazionale per il ritorno dei bambini ucraini di cui fanno parte più di 40 Paesi. L’Italia ne è membro e ringrazio il vostro Paese per il suo impegno. Il Qatar ha giocato un ruolo molto significativo: grazie alla mediazione di Doha sono tornati 83 bambini dai territori temporaneamente occupati e dalla Russia. Presso l’ufficio dell’Ombudsman abbiamo creato il Centro per la protezione dei diritti dei bambini: uno dei suoi compiti e documentare e registrare le violazioni subìte a causa delle ostilità e dell’occupazione. Ad oggi abbiamo fatto tornare più di 1.600 bambini. Ma non è abbastanza, dobbiamo fare di più: fare più pressione su Mosca attraverso sanzioni economiche più dure. Non possiamo lottare da soli, ma possiamo farlo tutti insieme. Questo è l’unico modo per fermare la Russia e far sì che tutti i nostri bambini tornino a casa».

Anche la Santa Sede è molto impegnata in questo senso.

«Il sostegno del Vaticano è molto importante: a luglio scorso rappresentanti del nostro ufficio hanno incontrato l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kyiv. L'arcivescovo ha offerto assistenza nel dare ospitalità alle famiglie che ritornano con i bambini, inclusi alloggio, pasti e supporto psicologico e spirituale, in un monastero nella regione di Ivano-Frankivsk».

Lei proviene da Volnovakha, cittadina della regione di Donetsk che è stata rasa al suolo dalle forze russe. Cosa sappiamo delle condizioni di vita di chi, per vari motivi, è rimasto nei territori temporaneamente occupati da Mosca?

«Le condizioni di vita sono estremamente difficili. La gente ha accesso limitato ai servizi di base, come la sanitàl al protezione sociale, il diritto della proprietà. Donne, bambini e persone con disabilità affrontano discriminazioni ancora maggiori: rischio di violenze, lavoro forzato, limitazioni alla possibilità di movimento. Gli anziani spesso hannio accesso limitato ai servizi sanitari e all'assistenza sociale. Inoltre, i rappresentanti delle forze di occupazione continuano a organizzare attività ideologiche e "militari-patriottiche" con lo scopo di diffondere sentimenti negativi verso l'Ucraina nei bambini e nei giovani, erodere la loro identità ucraina e prepararli al servizio militare nell'esercito russo». 

La guerra su larga scala ha inasprito il problema della violenza di genere e domestica? Le donne oggi sono ancora più a rischio di abusi?

«Ogni guerra fa crescere la vulnerabilità sociale. Le donne, specialmente quelle sfollate forzatamente, quelle che hanno perso il lavoro, o sfollate interne, sono molto più a rischio. La stragrande maggioranza di vittime di violenza domestica sono donne. Secondo i dati del Servizio sociale nazionale, nel 2024 sono stati registrati più di 181mila rapporti di violenza domestica, dei quali 140mila coinvolgevano donne. Nella prima metà del 2025 su 60mila rapporti ricevuti, 46mila riguardavano donne. Alla fine dello scorso anno abbiamo sviluppato il volume “Non restare in silenzio” sulla prevenzione e la risposta alla violenza domestica. La nostra posizione è chiara: nessuna donna, e nessun individuo, deve affrontare il problema della violenza da solo, neppure nelle condizioni più difficili della guerra».  

Pensa che la guerra abbia portato gli ucraini ad essere più solidali e a sviluppare forme di aiuto reciproco?

«Sono convinto che la guerra su larga scala abbia reso gli ucraini ancora più uniti e solidali fra di loro. Ogni giorno vediamo volontari, comunità locali e semplici cittadini che aiutano i soldati, assistono i feriti, sostengono le persone sfollate e aiutano le famiglie che hanno perso le loro case e il loro lavoro. E’ emerso un grande sentimento di rispetto reciproco. Il senso di unità è diventato parte della nostra identità nazionale. E’ una coesione che ci aiuta a sopportare le prove più dure e dimostra al mondo la forza del popolo ucraino».

(Foto Reuters in alto: Dmytro Lubinets, 44 anni, commissario per i dirtti umani del Parlamento ucraino)