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È un sì condizionato quello dato da Hamas al piano Trump sulla fine della guerra a Gaza: ha annunciato ufficialmente di essere pronta a rilasciare «tutti gli ostaggi israeliani» ancora nelle sue mani, così come previsto dal piano Usa, ma chiede «ulteriori discussioni e negoziati» sulla proposta americana e si propone per un ruolo futuro, escluso invece da tutti.
Il “piano di pace” per Gaza presentato da Donald Trump e avallato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è nelle mani dei dirigenti superstiti di Hamas, che lo hanno ricevuto da funzionari egiziani e qatarini. Sono state date loro 72 ore per valutarlo e dare una risposta, cioè fino alle 18.00 di domenica 5 ottobre ora di Washington. In precedenza, un alto funzionario di Hamas aveva dichiarato alla BBC che il gruppo era disposto a valutare qualsiasi proposta che potesse porre fine alla guerra a Gaza, ma aveva sottolineato che qualsiasi accordo avrebbe dovuto salvaguardare gli interessi palestinesi, garantire il ritiro completo di Israele da Gaza e porre fine alla guerra.
Un tempo troppo breve? Una fonte ha riferito all’agenzia di stampa AFP che ”le discussioni potrebbero richiedere diversi giorni a causa della complessità delle comunicazioni tra i membri della leadership e i movimenti, soprattutto dopo l'aggressione israeliana a Doha”.
Tenuta fuori dalle consultazioni, Hamas di fatto si trova di fronte a un ultimatum. Se accetta, Israele offre la cessazione immediata dei combattimenti e il rilascio di 250 prigionieri condannati all'ergastolo, oltre a 1.700 abitanti di Gaza che erano stati arrestati dopo il massacro del 7 ottobre 2023. Hamas deve garantire in cambio il rilascio dei 20 ostaggi israeliani ancora in vita e delle salme degli oltre venti ostaggi che si ritiene siano morti.
Se Hamas non accetterà il piano, gli Stati Uniti lasceranno che Israele “faccia ciò che deve fare”, cioè la guerra a oltranza “per portare a termine il compito di distruggere la minaccia di Hamas», ha dichiarato Trump.
Il piano offre l'amnistia e la possibilità di lasciare Gaza ai membri di Hamas che rinunciano alle armi. Di fatto Trump e Netanyahu chiedono al movimento islamista di liberare gli ostaggi e consegnare le armi, di rinunciare alla propria influenza nella vita pubblica di Gaza e di sciogliersi, magari con l'aiuto di paesi mediatori come il Qatar. Se Hamas non accetta, continuerà e forse peggiorerà il tormento per la popolazione civile di Gaza.
Secondo i 20 punti del Piano, quale sarebbe il futuro di Gaza? È prevista una forza internazionale di "stabilizzazione" creata dagli Stati Uniti e dai paesi arabi, che assumerebbe il controllo della sicurezza dell’enclave, garantendo la smilitarizzazione delle fazioni armate palestinesi. Viene fortunatamente scartata la bizzarra idea della “Riviera” immaginata dal palazzinaro diventato presidente, che avrebbe comportato lo sfollamento forzato dei palestinesi.
Secondo il piano di Trump, alla fine delle ostilità, Gaza sarà governata da una leadership "tecnocratica" dei palestinesi, non affiliata ad alcuna fazione politica. Come sottolinea Al Jazeera, “tale leadership palestinese non sarà scelta dal popolo palestinese, bensì da un nuovo organismo internazionale che supervisionerà l'attuazione del piano di pace. Trump ha affermato che tale organizzazione, denominata ‘consiglio di pace’, avrà il compito di garantire il successo dell'accordo e di riunire i principali leader regionali e internazionali”. Sarà lo stesso Trump a supervisionare il tutto e, vista la sue gestione confusionaria dei dossier internazionali, la notizia non sembra rassicurante. Al suo fianco ci sarebbe l’ex primo ministro britannico Tony Blair.
Nel piano della Casa Bianca si fa riferimento alla creazione di uno Stato palestinese, ma solo in termini molto vaghi. Il piano suggerisce che, se l'Autorità palestinese con sede a Ramallah venisse riformata, "potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la creazione di uno Stato palestinese”. Quindi si tratterebbe in ogni caso di un percorso molto lungo e pieno di incognite.
Il piano, insomma, si presenta come un compromesso dalla fragile architettura, ma al momento è l’unica alternativa alla continuazione degli orrori della guerra. Anche per questo ha raccolto il sostegno della comunità internazionale. In prima fila Paesi arabi e musulmani come Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar ed Egitto.
Mentre si attende la risposta di Hamas, resta da vedere come gli alleati di governo più estremisti accoglieranno Netanyahu al suo ritorno in Israele. Per tenerli a bada Netanyahu, come rivela Times of Israel, “ha ottenuto modifiche fondamentali al piano di Trump, rallentando e limitando il ritiro dell'IDF da Gaza”. Il quotidiano Haaretz prevede elezioni entro col 2026: “Senza annessione della Cisgiordania, senza ‘incoraggiamento all’emigrazione' ma piuttosto il contrario, senza la creazione di insediamenti a Gaza e, d'altra parte, con un ritiro quasi completo dalla Striscia e un percorso verso uno Stato palestinese, lo scioglimento della coalizione diventa un'opzione realistica. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, i due angeli del sabotaggio, non potranno giustificare la loro permanenza nel governo. Le elezioni all'inizio del 2026 sono uno scenario ragionevole”.
(Aggiornato da Elisa Chiari)



