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Perché la notizia del Pil che cresce bene in Italia e più che negli altri paesi Ue (+0,5%) nel primo trimestre 2023 sembra essere in stridente contrasto con i problemi delle famiglie, l’inflazione, il carrello della spesa e la fatica dei salari italiani a tenere il passo dell’inflazione? Tra il Pil e la felicità esistono molti, moltissimi passaggi intermedi, e lo stesso vale tra il Pil e il benessere economico delle famiglie. Nel 2016 presentammo il rapporto mondiale sulla felicità (World Happiness Report) a Roma. Negli stessi giorni il Governo irlandese era andato alle elezioni con uno strabiliante tasso di crescita del Pil del 6 percento ed era stato sonoramente sconfitto alle elezioni. Una crescita sulla carta, in parte spiegata dal fatto che le aziende mettevano la sede in Irlanda per pagare meno tasse ma non producevano valore che restava in quel Paese e andava a beneficio delle famiglie.
Una cosa è il Pil, il volume dei beni e servizi venduti e fatturati dalle aziende che producono nel nostro paese, un altro il benessere economico delle famiglie e un altro ancora la soddisfazione e ricchezza di senso di vita. Fermandosi al rapporto tra Pil e benessere economico il problema centrale dei nostri tempi è quello della distribuzione. Viviamo un’epoca di transizioni (digitale ed ecologica) sempre più accelerate, di grande progresso tecnologico che genera sempre più rapide “distruzioni creatrici” (le prossime saranno quelle indotte dallo sviluppo e dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale). Il risultato è che la torta della produzione di ricchezza globale aumenta ma quello che lascia a desiderare è come questa torta viene distribuita.


È un difetto intrinseco della macchina del nostro sistema economico che sa come far crescere la torta ma non come distribuire in modo equo le fette. Abbiamo potenzialmente tanti strumenti per risolvere la questione, dal finanziamento dell’accesso a salute ed istruzione pubblica (oggi dobbiamo mettere più risorse per contrastare l’abbandono scolastico e per incentivare la presenza di medici nel pubblico e nei pronti soccorsi), alla promozione delle pari opportunità, alla fiscalità progressiva, alle misure di lotta contro la povertà. Abbiamo come cittadini consumatori e risparmiatori un potere enorme ancora utilizzato poco e male che è quello del voto col portafoglio, ovvero della scelta di prodotti ed imprese più brave a redistribuire e a creare impatto sociale (i prodotti sostenibili non è vero che costano sempre di più e basterebbe comunque che si muovessero tutti quelli che possono permetterselo).
Ventitrè anni fa con Etica sgr e con un’avventura partecipata da una rete di banche socie abbiamo iniziato l’avventura del voto col portafoglio in finanza con un approccio oggi seguito, almeno sul green, da quasi tutti. Puntando sulle rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni. Se ci avessero dato retta prima forse ora la situazione era migliore. Quell’approccio può e deve essere portato sul sociale per far vincere le aziende che creano ricchezza e la redistribuiscono virtuosamente. La storia è sempre la stessa. Da conoscitore e studioso della macchina economica da decenni vedo sempre più potenzialità enormi, meccanismi provvidenziali sfruttati solo in piccolissima parte. Il problema è sempre lo stesso, quello del fatto che questi meccanismi hanno bisogno per essere azionati della nostra partecipazione, delle nostre virtù civiche, del nostro impegno politico. Nessun deus ex machina, nessun leader illuminato, nessuna mano invisibile può risolvere le cose da sola ma solo la nostra partecipazione civica e il nostro risveglio. È questa la cattiva e la buona notizia



