Al concerto di Natale, in Senato, presente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’ospite d’onore è Claudio Baglioni, accompagnato dall’orchestra del San Carlo di Napoli. Riceve la “martinella”, nome che storicamente allude alla campana che a Firenze nel Medioevo veniva suonata ininterrottamente per avvertire il popolo in occasione di guerra e che oggi scherzosamente indica invece la campanella in dotazione ai presidenti di Camera e Senato, usata per richiamare all’ordine quando in aula la seduta si fa turbolenta.

Canta “Avrai”, Claudio Baglioni, che fu scritta pensando al futuro in occasione della nascita del figlio, ma è subito dopo aver ricevuto l’onorificenza e introducendo La vita è adesso che il cantautore romano, associato da tutti, compreso il presidente del Senato La Russa che la cita, alla maglietta fina di Questo piccolo grande amore, si prende con garbo la libertà di un ringraziamento non di circostanza, in cui ricorda, volando alto, alla politica il bisogno di conservare una “visione”, di non perdere la tensione ideale. Assimilando l’aula del Senato a un «al teatro più grande che idealmente contiene tutti gli italiani», ricordando il sogno che la musica rappresenta regalando emozioni: «Si dice “è un sognatore”», osserva Baglioni, «con voce velata di sufficienza di ironia di sarcasmo come se il sogno fosse un nemico, ma non è un nemico. Non è la negazione della realtà, è semmai la sua affermazione. I visionari, gli idealisti non sono soltanto degli illusi e dei perdigiorno. Il sogno è l’anticamera della realtà il luogo nel quale comincia a prendere forma un’idea che anime eccelse e illuminate perseguono per sé stesse e per gli altri, aiutando le persone a ridurre la distanza tra le cose come sono e le cose come dovrebbero essere. È il tragitto che sta tra gli occhi e le stelle. E la vita di ciascuno di noi è diventata migliore grazie a questi sogni». Li nomina, uno a uno, dando vita a un pensiero, ecumenico ma non annacquato: «La democrazia, la giustizia, la parità sociale, i diritti civili per esempio, che purtroppo in tanta parte del mondo sono ancora sogni e che altrove potrebbero anche tramutarsi in nuove angosce. E le conquiste più grandi sono: la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, il Risorgimento, l’Unità d’Italia, la fine della segregazione razziale, l’Europa unita, vagheggiata nelle tenebre di un Novecento brutalizzato da due guerre mondiali. La Liberazione, la fine dell’Apartheid realizzata da Mandela, il crollo del Muro di Berlino e la fine di gran parte del socialismo reale.

Cita le conquiste della scienza, in un contesto internazionale sempre più tentato dalle derive antiscientifiche: parla di «Sabin» e del vaccino antipolio non brevettato per regalarlo a tutti i bambini. Cita il telefono, la radio, la scrittura, la stampa, la fotografia il cinema, la televisione e soprattutto «la pace, il sogno che non bisogna mai smettere di sognare, perché è l’unico modo per evitare che il mondo precipiti nell’incubo, per permettere agli esseri umani di restare umani».

Quando conclude lo fa prendendosi la responsabilità di rivolgersi all’aula istituzionale che in quel momento è il suo pubblico, scende dal sogno al concreto: cita l’articolo 54 della Costituzione, dà forma con una metafora all’astensione degli elettori, alle loro speranze e alle loro disillusioni: «Voi rappresentate», dice il cantautore, «le guide di un popolo, siete in qualche modo con disciplina e onore gli autori responsabili e ispirati di quei grandi sogni che si tramutano in realtà per tutti questo è il vostro teatro a cui guarda una intera nazione, un Paese che assiste con speranza e fiducia, ma pure incertezza e a volte rassegnazione, un teatro mezzo vuoto non è una buona cosa. Ma perché il concerto abbia successo servono sì i professori d’orchestra ma anche più spettatori possibili». Vi si potrebbe persino leggere una “strigliatina”, almeno una scampanellata, in tema con il dono ricevuto, garbata ed educata, come si deve al cantore dei sentimenti, che però non si è fermato alla maglietta fina.