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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella consegna agli Alfieri della squadra olimpica, Arianna Fontana, Federico Pellegrino, Amos Mosaner e Federica Brignone, e gli Alfieri della squadra paralimpica, Rene’ De Silvestro e Chiara Mazzel, la bandiera per i Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano-Cortina 2026, al Quirinale, Roma, 22 dicembre 2025.
C’è o non c’è nella versione più pura dell’Inno nazionale il “Sì” finale che tanto piace agli sportivi che il 21 dicembre in partenza per Olimpiadi di Milano Cortina hanno ricevuto il Tricolore per la cerimonia? E soprattutto davvero per decreto non sarà più possibile cantarlo?
La questione è controversa. All’articolo 2 del Decreto del presidente della Repubblica che , su proposta della Presidenza del Consiglio, del 14 marzo scorso, disciplina l’esecuzione dell’inno nazionale si legge: «L'Inno nazionale è uno dei simboli rappresentativi della Repubblica Italiana e deve essere eseguito rispettandone il valore storico e ideale.
CHE COSA DICONO LE NORME SULL’ESECUZIONE
«Durante l’esecuzione i presenti sono in piedi, in posizione composta, in silenzio oppure partecipando col canto.
Nelle cerimonie alla presenza di una bandiera di guerra o d'istituto, ovvero del Presidente della Repubblica, nonché in occasione delle festività nazionali, in Italia e all'estero, l'Inno nazionale, senza l'introduzione iniziale, è eseguito ripetendo due volte di seguito le prime due quartine e due volte di seguito il ritornello del testo di Goffredo Mameli, come previsto dallo spartito originale di Michele Novaro».
I riferimenti (spartiti, autografi, versione ufficiale audio di riferimento delal banda interforze) sono quelli indicati sul sito del Cerimoniale di Stato.


«In occasione di eventi sportivi di rilevanza nazionale o internazionale, in Italia o all'estero, negli eventi o nelle sedi di Istituzioni pubbliche, o in occasione di manifestazioni pubbliche, è possibile eseguire l'Inno, oltre che con le modalità previste dal comma 2, compresa eventualmente l'introduzione, anche integralmente, ovvero utilizzando variazioni di tonalità o voci, altri complessi strumentali, o basi registrate. 5. Sono fatte salve le disposizioni concernenti le forme e le modalità di esecuzione nell'ambito del Comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico. 6. Il Cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Cerimoniale della Presidenza della Repubblica, possono individuare ulteriori occasioni nelle quali si renda necessario eseguire l'Inno secondo le modalità di cui al presente articolo».
Dunque il Decreto parla esplicitamente dell’introduzione, che viene tolta nei contesti più formali, seri e ufficiali, ma concessa nei contesti meno formali, quali sono i podi sportivi, dove è lecito cantare anche al di fuori delle pose composte previste dal decreto che in quei contesti, come pure nelle scuole, concede una esplicita deroga.
I TESTI DI RIFERIMENTO DELL’UFFICIO DEL CERIMONIALE DI STATO


I riferimenti di esecuzione dati sono: il testo di Mameli, lo spartito di Novaro e l’audio della versione eseguita dalla Banda interforze di riferimento per l’esecuzione orchestrale o bandistica dell’Inno. E lì comincia il giallo: nel testo autografo di Mameli il “sì” finale che siamo abituati a sentir gridare con grande entusiasmo ai vincitori di gare sportive inequivocabilmente non c’è. Più controversa la questione sullo spartito di Michele Novaro autore della musica. Nella copia del testo che precede lo spartito, autografa di Novaro, il musicista rispetta il poeta e non mette il “sì”, ma poi sullo spartito lo aggiunge in corrispondenza dell’ultima nota, un si bemolle, successiva alla pausa dopo il «chiamò».


Nell’edizione critica a cura di Maurizio Benedetti, Edizioni Conservatorio, Torino, si legge che: «il Sì finale è un’aggiunta di Novaro al verso originale». Quanto alla scelta fatta su testo critico i curatori spiegano: «Sulla modalità di esecuzione di quest’ultimo “Sì” abbiamo nuovamente un’importante informazione dalla figlia di Novaro per il tramite di Domenico Alaleona che così descrive la sillaba nella partitura fornitagli da Giuseppina Novaro: “Sulla apostrofe finale “Sì”, segnata senza altezza di suono, si trova la indicazione: parlato, a viva voce” . Quindi il Sì finale “parlato” anziché cantato assume il carattere di un forte accento ritmicopercussivo che conclude il crescendo e accelerando finale troncandolo con la massima brevità. Rispetto alla descritta assenza dell’altezza di suono, abbiamo ritenuto invece di mantenerla sia perché anche il “parlato” necessita comunque di un’altezza di riferimento, sia perché negli autografi dell’autore è sempre annotato il Mi bemolle alla sillaba Sì. L’indicazione “parlato, a viva voce” deve assolutamente essere rispettata per l’autorevolezza della fonte e come altre indicazioni esplicite e implicite che abbiamo messo in evidenza in tutta l’analisi interpretativa della partitura, è uno dei molti elementi costitutivi della prassi esecutiva novariana di cui l’esecutore deve essere edotto e partecipe nella sua interpretazione dell’inno per poterlo restituire al pubblico al meglio delle sue potenzialità musicali ed espressive».


Sulla opportunità di eseguirlo le opinioni divergono: Riccardo Muti in occasione del 2 Giugno, festa della Repubblica, dirigendo al Ravenna Festival Cantare Amantis est, al palazzo Mauro De André di Ravenna, l’inno cantato da 3mila coristi, ha chiesto di rimuovere il “sì finale”: «Il Maestro Muti», testimonia Lina Palmieri una delle partecipanti, commentando sulla pagina Facebook del Festival, «ci ha fatto cantare, tutti in piedi, (sotto nel video di Roberto Zichittella, ndr) l'inno di Mameli chiedendo di annullare il "Sì" finale, perché ha spiegato il Maestro non c'è nel testo originario e poi non è malaugurante invocare la morte con un "sì"?».
Facile prevedere che sui podi olimpici, occasione festosissima, quel “sì”, spesso stonato e fuori tempo come il resto ma molto sentito e partecipato, lo sentiremo sempre, che in altre sedi solenni vedremo esecuzioni formali, ma probabilmente sarà il direttore del momento a decidere se obbedire filologicamente a Mameli o a Novaro, a seconda di quanto giudicherà arbitraria l’aggiunta del musicista sul testo poetico.
La questione non è semplice come sembra, perché si tratta di stabilire se e quando il Canto degli italiani in quanto canto diventa definitivo: se lo è già quando è ancora solo testo, e allora fa fede Mameli, o se diventa compiutamente “canto” quando si compone di testo e musica e lì potrebbe anche fare fede il testo di Novaro nel punto in cui riga di testo e rigo musicale coesistono. E allora? Alle prossime esecuzioni l’ardua sentenza.
Anche perché la versione di riferimento per le bande essendo solo strumentale non risolve definitivamente il dilemma del canto, mentre il Quirinale sul suo sito ha scelto la versione senza “sì” di Mario Del Monaco, che però non è citata dalle norme tra i testi di riferimento.


PERCHÉ SE NE PARLA ADESSO
Perché in attuazione un foglio interno alle Forze armate (non pubblico ma reso noto dal Fatto quotidiano il 23 dicembre 2025, che ne riferisce anche il numero di protocollo n. MDA0D32CC REG20250229430) diramato il 2 dicembre dallo Stato Maggiore della Difesa in attuazione al decreto, «ha disposto che in occasione di eventi e cerimonie militari di rilevanza istituzionale, ogniqualvolta venga eseguito ‘Il Canto degli italiani’ nella versione cantata non dovrà essere pronunciato il ‘sì!’ finale». Aggiungendo: «Per quanto precede i Comandi in indirizzo vogliano dare la massima diffusione della presente disposizione a tutti i Reparti di pendenti sino al livello di Stazione SAGF per la scrupolosa osservanza». C’è anche l’allegato: «In annesso il D.P.R. 14 marzo 2025 –Modalità di esecuzione dell’Inno nazionale, ai sensi dell’Articolo 1 della legge 4 dicembre 2017, n.181».
Ecco dunque la prima interpretazione, restrittiva, del decreto. Qualcuno, carte normativo e filologiche alla mano, potrà dire che è un’interpretazione più papista del Papa. Qualcun altro si chiederà se debbano applicarla anche sul podio olimpico i tanti atleti dei gruppi sportivi militari o se per loro valga la deroga.
Il dibattito è ufficialmente aperto.





