PHOTO
La sicurezza fatta persona: ordine mentale che riflette l’ordine in campo. Uno Jannik Sinner implacabile entra in campo fin dal primo set, misurando le righe del campo al numero due del mondo, dando l’idea di sapere sempre esattamente che cosa fare e di riuscire a farlo indipendenteme dalla prestazione dell’avversario. Non è semplice, sotto pressione, avere il controllo di tutto, sapendo che di là c’è il secondo giocatore al mondo dopo di te, in ottima stato di forma.
Eppure la sensazione è che Jannik Sinner abbia avuto in mano la chiave della partita fin dal primo istante e non solo per i sei servizi vincenti di fila in avvio, il contrario di quello che era accaduto nella semifinale con Shelton, dove il servizio aveva tradito in avvio. Sascha Zverev è sempre stato lì, non ha commesso errori evidenti, si è giocato il secondo set fino al tiebreak, ma la sensazione è sempre stata che Sinner abbia avuto il dominio di sé, del proprio gioco, e per questa via dell’avversario.
Non è mai facile giocare contro Sinner: uno che non sbaglia quasi mai e risponde in campo, vicino alla riga di fondo anche ai migliori servizi del circuito, quelli che nessuno è abituato a veder tornare indietro, a meno che di là non ci siano Jannik Sinner o il miglior Djokovic.
Non è stata una settimana facile, dentro il campo ha sofferto un momento complicato dal punto di vista fisico contro Rune, partita in cui ha mirabilmente gestito mentalmente un momento di particolare ed evidente difficoltà fisica. Sono attimi che si ripercuotono sul fuori campo. È la complicazione dell’essere numero uno: ogni spillo che cade fa il rumore una deflagrazione, ogni dettaglio genera una ridda di illazioni, di ipotesi non verificate, di curiosità morbose.
Nel corso della seconda settimana del torneo sono stati almeno due i momenti di fibrillazione: quando Jannik Sinner si è lasciato sfuggire quello che per il resto del mondo era ancora un segreto, il ritiro a fine anno del suo supercoach Darren Cahill, cosa che ha scatenato un incontrollabile totonomi impazzito. La seconda volta in quel momento di disagio fisico in campo, in cui un evidente tremore è diventato oggetto di speculazioni.
Sinner è sembrato assorbire tutto senza preoccupazioni: che sia vero o tattica da poker come la chiama lui, non è dato di sapere. Il riserbo è la sua cifra, ormai noto al mondo, l’autocontrollo la misura di tutte le cose. Ci starebbe pure se chi si controlla così, imperturbabile all’apparenza, somatizzasse qualcosa di tanto in tanto. Jannik Sinner scrolla le spalle, ogni tanto ripete: «Stiamo solo giocando a tennis», come dire che il mondo, la realtà le cose importanti girano altrove. È sempre più difficile però preservare e proteggere la quotidinianità, la normalità, le relazioni, quando si sta, come dicono gli inglesi eternamente «on the spot» così, sotto un eterno riflettore che è grande privilegio, ma anche occhio indagatore, scrutatore, dove ogni critica arriva amplificata, dove ogni parola banale assume il peso di una verità rivelata scolpita nella pietra. Ma è il prezzo da pagare alla prima piazza e Sinner sembra aver trovato la chiave per non restarne schiacciato.
Jannik Sinner sembra stare in campo, come se quel rettangolo dalle righe bianche, fosse la sua comfort zone, la sua bolla di sicurezza, non il luogo in cui tutto il mondo pretende che non faccia nulla di meno che vincere sempre. Si direbbe che sotto pressione Jannik si trovi perfettamente a suo agio e questa sua olimpica calma finisce per destabilizzare chi c’è di là dalla rete. È capitato anche a Zverev nella finale dell’Australian Open 2025: nel tiebreak del secondo set ha avuto la sua chanche di avvicinarsi dopo l’uno a zero ma alla fine è sempre andata come dettava l’inerzia del gioco.
Sinner ha sempre finito per prendersi il break di vantaggio, mini o maxi che fosse, quasi aspettasse l’avversario sulla riva del fiume, e a portare a casa il suo terzo slam e il suo secondo Australian open consecutivo in tre set di finale. Come sembrava scritto nelle stelle, ma di più nel gioco e nello sguardo fin dall’inizio. Alla fine le lacrime di Zverev e la scalata di Sinner alle tribune per abbracciare i suoi sono la misura della differenza vista in campo, una differenza apparentemente non enorme sulla carta eppure abissale dentro il campo, come dimostra il fatto che Jannik non abbia dovuto fronteggiare neppure una palla break, segno di un incontro gestito a rischio zero.



