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Cara prof., sono uno studente universitario che dà ripetizioni private a studenti delle scuole superiori. Il mio dispiacere è quando non riesco a far raggiungere quei risultati che i ragazzi e le famiglie si aspetterebbero da me. È soprattutto frustrante quando, nonostante mi sembra si siano fatti tutti gli esercizi e i ragazzi sappiano risolverli, le veriche continuano ad andare male. Mi chiedo se sia la mancanza di un metodo mio o se le difficoltà dei ragazzi sono talmente serie che anche il mio intervento non basta.
— Caro Francesco, tu fai parte di quel variegato mondo delle ripetizioni private: studenti universitari, professori in pensione, e anche in servizio, che ogni anno aiutano milioni di studenti a rimediare una promozione, se va bene, o evitare una bocciatura. Nel nostro Paese il 35-40% degli studenti delle scuole superiori va a ripetizione, molto gettonate quelle in matematica, inglese, fisica, latino e greco. Ma già alla scuola media e, a volte, alle elementari si ricorre a un aiuto pomeridiano nei compiti. Se ci pensi è anche un giro d’affari non da poco. Quindi prima di risponderti pongo una domanda: com’è possibile che ci siano così tanti studenti che devono ricorrere a un insegnante di ripetizione quando nel corso degli ultimi vent’anni si sono introdotti proprio all’interno della scuola strumenti come i corsi di recupero e gli sportelli di aiuto allo studio? E ancora: chi si dovrebbe far carico di analizzare le ragioni dell’insuccesso e proporre una cura? La domanda è forse retorica e la risposta insita in sé stessa: la scuola deve promuovere il successo scolastico e formativo.
So bene anche quali risposte riceverei da parte di molti colleghi sulla mancanza di risorse finanziarie che non permettono il raggiungimento di questo obiettivo. Però credo che noi insegnanti potremmo e dovremmo interrogarci di più sul nostro operato quando magari un terzo e più della classe presenta delle insufficienze. A volte, invece, ho come la sensazione che non teniamo conto degli studenti che abbiamo davanti, seguiamo un metodo, magari solo quello da vent’anni, e se il ragazzo non riesce, beh, vada a ripetizione. So che farò arricciare qualche naso di miei colleghi e dei tuoi, ma è per dirti che non ti devi far carico da solo degli insuccessi dei ragazzi che segui. È possibile che tu di fronte a situazioni complesse sia metodologicamente impreparato, ma questo non solo per la giovane età. Un lavoro vero e serio di recupero quantomeno dovrebbe prevedere una relazione tra il docente e chi svolge il lavoro di sostegno, per condividere informazioni sull’alunno, sulle sue difficoltà, su quali siano i contenuti su cui lavorare e magari riflettere sui metodi e per un efficace e serio lavoro di recupero.
FRANCESCO
— Caro Francesco, tu fai parte di quel variegato mondo delle ripetizioni private: studenti universitari, professori in pensione, e anche in servizio, che ogni anno aiutano milioni di studenti a rimediare una promozione, se va bene, o evitare una bocciatura. Nel nostro Paese il 35-40% degli studenti delle scuole superiori va a ripetizione, molto gettonate quelle in matematica, inglese, fisica, latino e greco. Ma già alla scuola media e, a volte, alle elementari si ricorre a un aiuto pomeridiano nei compiti. Se ci pensi è anche un giro d’affari non da poco. Quindi prima di risponderti pongo una domanda: com’è possibile che ci siano così tanti studenti che devono ricorrere a un insegnante di ripetizione quando nel corso degli ultimi vent’anni si sono introdotti proprio all’interno della scuola strumenti come i corsi di recupero e gli sportelli di aiuto allo studio? E ancora: chi si dovrebbe far carico di analizzare le ragioni dell’insuccesso e proporre una cura? La domanda è forse retorica e la risposta insita in sé stessa: la scuola deve promuovere il successo scolastico e formativo.
So bene anche quali risposte riceverei da parte di molti colleghi sulla mancanza di risorse finanziarie che non permettono il raggiungimento di questo obiettivo. Però credo che noi insegnanti potremmo e dovremmo interrogarci di più sul nostro operato quando magari un terzo e più della classe presenta delle insufficienze. A volte, invece, ho come la sensazione che non teniamo conto degli studenti che abbiamo davanti, seguiamo un metodo, magari solo quello da vent’anni, e se il ragazzo non riesce, beh, vada a ripetizione. So che farò arricciare qualche naso di miei colleghi e dei tuoi, ma è per dirti che non ti devi far carico da solo degli insuccessi dei ragazzi che segui. È possibile che tu di fronte a situazioni complesse sia metodologicamente impreparato, ma questo non solo per la giovane età. Un lavoro vero e serio di recupero quantomeno dovrebbe prevedere una relazione tra il docente e chi svolge il lavoro di sostegno, per condividere informazioni sull’alunno, sulle sue difficoltà, su quali siano i contenuti su cui lavorare e magari riflettere sui metodi e per un efficace e serio lavoro di recupero.



