Da oggi sono entrati in vigore i dazi al 15% imposti dagli Stati Uniti sui principali prodotti del Made in Italy agroalimentare, una misura che mette a rischio oltre un miliardo di euro di export e colpisce in particolare settore vino, olio extravergine d’oliva e pasta di semola. Questa barriera tariffaria aggrava il già complesso contesto europeo, segnato da una riforma della Politica Agricola Comune con tagli significativi alle risorse per la qualità e da un Green Deal percepito da molti come ideologico e poco concreto. Sul banco degli imputati finisce anche la leadership della Commissione europea, giudicata debole nella negoziazione con Washington, mentre resta aperta la partita delle possibili correzioni all’accordo grazie alla pressione congiunta di governi, imprese e consumatori americani. In questo scenario, Coldiretti chiede interventi urgenti a sostegno delle filiere italiane e strumenti normativi per contrastare l’Italian sounding, senza trascurare l’importanza di sostenere i giovani agricoltori che scelgono di tornare alla terra.

Segretario Vincenzo Gesmundo, Coldiretti parla di una “stangata” da oltre un miliardo di euro per il Made in Italy agroalimentare. Quali settori sono più a rischio e come reagiranno le imprese?
I dazi al 15 % decisi dagli Stati Uniti rappresentano un duro colpo per il cuore del nostro agroalimentare. A rischio sono soprattutto il vino – il prodotto italiano più esportato negli USA – l’olio extravergine di oliva e la pasta di semola. Queste tariffe colpiscono le imprese che hanno investito in qualità, tracciabilità e legame col territorio: filiere resilienti, ma non in grado di sostenere a lungo l’erosione competitiva. Il vero prezzo lo pagheranno anche i consumatori americani, costretti a sostenere costi più alti per prodotti d’eccellenza.

Cosa ne pensa della conduzione della trattativa da parte della presidente von der Leyen? Che cosa si contesta alla Commissione europea e cosa si sarebbe potuto fare diversamente?
La gestione del negoziato è stata approssimativa e subalterna: un risultato che non solo non riflette il testo negoziato dagli Stati Uniti ma sacrifica i nostri prodotti simbolo. Certo, un’aliquota del 15 % è meglio del 30 % inizialmente minacciato, ma l’intesa favorisce l’economia americana e dimostra la fragilità contrattuale dell’Europa. Si sarebbe dovuto lavorare sin dall’inizio a un’esclusione mirata per vino, olio e pasta, ascoltando imprese e stakeholder anziché procedere in autonomia.

Il governo italiano ha chiesto dazi zero per prodotti simbolo come il vino. C’è ancora margine per modificare l’accordo?
Sì, è difficile ma non impossibile. Serve una forte pressione diplomatica e industriale, coinvolgendo anche gli importatori americani preoccupati per l’impatto economico dei dazi. È fondamentale ricordare che i prodotti italiani negli USA generano valore aggiunto quattro volte superiore a quello di partenza, alimentando crescita e posti di lavoro in America. Oltre alla promozione, servono sostegni economici urgenti alle filiere colpite per evitare l’espulsione dai scaffali statunitensi.



Oltre ai dazi, Coldiretti denuncia la riforma della PAC e un Green Deal “ideologico”. Cosa non funziona oggi nella politica agricola europea?
Il taglio del 20 % delle risorse dedicate al cibo naturale e di qualità mette a rischio la salute dei consumatori e il reddito degli agricoltori. Assistiamo a un’ipoteca tecnocratica che privilegia logiche di riarmo a scapito della terra: meno grano, più cannoni, e tutti di marca franco-tedesca. Questa deriva burocratica, distante dalla realtà delle campagne, ignora il valore sociale e culturale delle nostre filiere. Serve tornare a politiche incentrate sul sostegno reale agli agricoltori, non sulla burocrazia militare.

In questo contesto, si può ancora scommettere sull’export? Quali strategie per aprire nuovi mercati senza perdere quello americano e contrastare l’Italian sounding?
L’export rimane la chiave, ma il mercato USA è insostituibile nel breve periodo, tanto economicamente quanto simbolicamente. Occorre una doppia strategia: consolidare i mercati storici e aprire nuovi sbocchi, senza però sottovalutare gli Stati Uniti. Contro l’Italian sounding servono norme più stringenti, accordi di riconoscimento dell’origine e campagne mirate sulla tracciabilità e la qualità del nostro cibo.

Sempre più giovani scelgono l’agricoltura dopo percorsi universitari. Cosa chiede Coldiretti alla politica per non spegnere questo entusiasmo?
Il ritorno dei giovani alla terra è un’opportunità straordinaria. Servono politiche strutturali per garantire loro accesso alla terra, al credito, alla formazione e alla tecnologia, insieme a una narrazione che restituisca dignità e valore al lavoro agricolo. Solo riducendo la burocrazia e tutelando il reddito potremo mantenere viva la passione e l’innovazione dei nostri giovani agricoltori.

 

 

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