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Cari amici lettori, ci sono film, libri, quadri che hanno una potenza incredibile nel rivelarci qualcosa di noi stessi, del nostro tempo, dei mali che ci corrodono senza che ce ne accorgiamo. Mi è capitato di andare a vedere qualche giorno fa La zona d’interesse, film di Jonathan Glazer. Ne è protagonista Rudolf Höss, l’uomo che gestiva la macchina di sterminio degli ebrei ad Auschwitz, e la sua famiglia, la moglie e i quattro
bambini. Il film inizia con due minuti di “nero”, per aprirsi poi sulla riva di un fiume, con la famigliola a fare il bagno e a godersi una bella giornata di sole. Per poi riportarci alla loro casetta, curatissima, ripresa con immagini di una nitidezza quasi innaturale, che pian piano scopriamo sorgere accanto al muro del lager. Di qua una vita apparentemente normale, fatta di piccole vicende familiari, battibecchi tra marito e moglie, meschine preoccupazioni quotidiane; di là l’orrore, che appare solo indirettamente ma è come il sottofondo continuo e inquietante del film, ma sembra non toccare più di tanto la coppia. La scrittrice Hannah Arendt aveva esplorato qualcosa di simile raccontando il processo al nazista Adolf Eichmann,
catturato in Argentina nel 1960: da una parte la tragedia dell’Olocausto, di cui Eichmann era stato uno degli “artigiani”, dall’altra la “banalità del male”, come recita il titolo del suo famoso libro. Un piccolo, meschino
protagonista ottuso (e con lui tanti altri), che non ha quasi coscienza dell’orrore che produce. Per tornare al lm, è il dramma dell’indifferenza di fronte al male, del vedere e fingere di non vedere, a essere messo in scena. La rappresentazione di una “normalità” che pian piano si rivela essere tutt’altro che normale. Niente di eclatante nel film, nessun discorso “declamato”. In quella normalità indifferente ci siamo però anche noi: che si tratti della guerra in Ucraina, della tragedia di Gaza o di tante altre vicende disumane che ci scorrono “accanto” nei tg e nei giornali. Siamo esposti spesso al dramma della negazione del male, di ciò che avviene al di fuori delle nostre comfort zone. Pochi giorni fa lo street artist italiano Jorit ha stretto la mano a Putin, dichiarando che «Lei è umano come tutti, la propaganda non è vera», mentre la docente
universitaria Donatella di Cesare pubblicava uno sconcertante post, poi rimosso, dopo la morte della terrorista Barbara Balzerani, in cui scriveva «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia, un addio alla compagna Luna». Ma al di là dei casi più clamorosi, rischiamo anche noi di non vedere a furia di assuefarci e di appiattire tutto. La nostra coscienza finisce per
atrofizzarsi se non tiene alta la guardia, se non si interroga, se non reagisce. Diventando indiffeerente
a tutto. Forse non sempre abbiamo potere di rimuovere il male, ma almeno la capacità di vederlo, di indignarci, di prenderci carico di quel che poco che possiamo fare, come la misteriosa ragazza del film, ripresa in immagini “oniriche”, che di notte posa dei frutti, piccolo bene nascosto in mezzo al grande male. «Pregate e vigilate, per non cadere in tentazione», dice il Vangelo di Marco (14,38). Perché ci si può “addormentare” anche davanti alla Passione di nostro Signore.



