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La guerra e forse, sempre più in là, come la speranza che non muore, la pace in Ucraina. La tragedia e forse, sempre più in là, una tregua a Gaza. Ma le spiagge, i bar e le aperture dei siti di informazione per giorni evidenziavano una domanda sola, un interrogativo inquietante e ansiogeno. Cos’è successo a Sinner? Il campione nostrano (qualcuno si ostina a chiamarlo austriaco) numero uno del tennis mondiale, ha ceduto ai Masters di Cincinnati, Usa, ha rinunciato dopo un disastroso cinque a zero nel primo set, si è accasciato con gli occhi lucidi. Game over. Ma game significa partita e gioco: ovvero, si sta giocando, non stabilendo appunto le sorti del pianeta; e si tratta di un torneo, una partita, non di una vita buttata.
Tutti a caccia del misterioso virus che ha colpito Jannik. La torta di compleanno? Panico? Finzione, dato che andava maluccio? Semplicemente, troppo caldo. Giocare a tennis, fare sport quando si superano i 30 gradi, il 70% di umidità è una fatica sciocca e un pericolo serio. A Cincinnati sono caduti in tanti come birilli, metaforicamente: un francese e un americano, un russo e un argentino, uno spagnolo e un tedesco.
E allora perché questo torneo, nei pomeriggi torridi d’agosto, e per giunta prolungato nel tempo? Perché un torneo dopo l’altro, senza tempi di ripresa, su e giù con gli aerei tra sbalzi di temperature e fusi orari? Business. Soldi, per i giocatori e non solo, per il sistema intero che ha scordato completamente il significato dello sport.
Le vittorie dei nostri campioni hanno contagiato i bambini, le scuole di tennis fanno il pieno e cosa si propone ai più piccoli? La fama, il denaro a fiumi, qualche anno di tormento e forse estasi, rischiando la salute fisica e mentale, spremuti come limoni.
Lo sport è strada privilegiata per educare, per crescere. Si segue un maestro, anche se costa obbedire, si è uniti in squadra, anche se ci si sente i migliori o i peggiori; si rinuncia, si fatica, si impara a perdere e a vincere. Oppure lo sport è pura competizione, a qualunque costo, il risultato è il guadagno, la gogna pubblica e la depressione se va male.
Sinner ha ceduto. Per forza, ha 23 anni, gira come una trottola tra uno spot e una photo opportunity, lo vogliono macchina metallica, perfetta. Invece è un ragazzo, è abituato ad esempio a stare con i suoi familiari, e in Usa non c’erano, proprio nel giorno del suo compleanno. Gli va di staccare, come tutti i suoi coetanei e sospetto anzi che il successo gli stia dando alla testa, vedendo il suo vagare tra una modella e l’altra, lo stia rendendo antipatico, vedendo come sopporta a fatica le telecamere. Per forza, non può neanche permettersi il lusso di essere arrabbiato o triste o di non star bene.
In anni di agonismo certamente Jannik ha perso, gli hanno insegnato a perdere. Toccherebbe ricordarlo a tutti quelli che lo premono, che pretendono la sua assoluta eccellenza. Si può essere numeri primi anche in due o tre, non per forza sulla vetta sempre, da soli.
(Immagine in alto: foto Reuters)
In collaborazione con Credere
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