«Non ritengo appropriato e prendo le distanze da chi a livello professionale si è schierato pro e contro la scelta di collocare i bambini della famiglia Trevallion-Birmingham in protezione: la parola “allontanamento” – decontestualizzata e strumentalizzata – è fuorviante. Nessuno, se non i servizi sociali che seguono la situazione da diverso tempo e i magistrati che in camera di consiglio hanno preso la decisione, conoscono nel dettaglio la situazione». L’assistente sociale Francesca Maci, ricercatrice e docente di servizio sociale all’Università di Parma, nonché giudice onorario, analizza il clima inquinato intorno alla vicenda del nucleo familiare che viveva isolato in un casolare nel bosco di Palmoli (Chieti) con 3 figli tra i 6 e gli 8 anni, per i quali il Tribunale per i minorenni de L’Aquila ha disposto il collocamento temporaneo in una casa famiglia a Vasto, dove la madre li assiste. La decisione dei giudici è arrivata a seguito di «valutazioni tecniche e su elementi oggettivi», recita l’ordinanza.

«Schierarsi da tifoseria pro o contro i servizi sociali, la magistratura, i genitori, non fa bene anzitutto ai figli, perché in questo dibattito mediatico – che non può che essere superficiale e distorto senza una conoscenza circoscritta della vicenda – ci si focalizza prevalentemente sugli adulti “espropriati” della loro responsabilità genitoriale, perdendo di vista il benessere dei bambini», rimarca la professoressa Maci, membro del comitato scientifico del Centro internazionale studi famiglia. Che puntualizza: «Mettere profondamente in discussione istituzioni come il Tribunale per i minorenni – le cui decisioni sono sempre soppesate e prese a seguito di un’istruttoria approfondita sulla situazione familiare, la vita sociale e relazionale di bambini e genitori – vuol dire smantellare la fiducia dei cittadini verso istituzioni che rappresentano una garanzia di democrazia. Con la preoccupazione che famiglie vulnerabili e in difficoltà non si rivolgano ai servizi sociali perché condizionate da commenti negativi e irresponsabili». Non solo: «Quando la politica strumentalizza situazioni così complesse e si esprime con modalità propagandistiche, prima di aver compreso e approfondito documenti e fatti, non fa che sconfessare servizi sociali e tribunali, organi dello Stato stesso: un controsenso».

Ma in casi analoghi alla “famiglia nel bosco” quali sono i passi compiuti dalle istituzioni? «Si parte dal tentativo dei servizi sociali di far riconoscere agli adulti i bisogni di crescita dei bambini, cercando di offrire supporto alla genitorialità e protettivi/di cura nei confronti dei minori, per tutelare il legame fra bambini e genitori cercando di rispondere anzitutto ai bisogni/diritti dei figli». Un iter complesso e articolato: «Quando i servizi vengono a conoscenza di una situazione di trascuratezza nei bisogni di crescita dei bambini, provano ad accrescere la capacità dei genitori nel prendere consapevolezza dei bisogni evolutivi e diritti dei propri figli. Viene avviato un percorso di accompagnamento e sostegno, ad esempio con incontri educativi domiciliari e colloqui di supporto alla genitorialità, verificando la situazione scolastica, sanitaria, abitativa ma anche emotiva e di benessere generale. Sono offerte anche diverse occasioni di socialità e si valutano altri supporti specialistici», spiega l’esperta.

La casa famiglia di Vasto che ospita Catherine Birmingham con i suoi tre bambin
La casa famiglia di Vasto che ospita Catherine Birmingham con i suoi tre bambin

La casa famiglia di Vasto che ospita Catherine Birmingham con i suoi tre bambin

(ANSA)

Quindi «il primo mandato dei servizi sociali è di sostegno e accompagnamento della famiglia per aiutare a sviluppare una genitorialità positiva, riconoscendo i bisogni e diritti dei bambini perché possano avere un percorso di crescita e sviluppo della miglior qualità possibile, finalità del Leps P.i.p.p.i (Programma di intervento per prevenire l’istituzionalizzazione), promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a sostegno della genitorialità vulnerabile». Se il progetto funziona, «coinvolgendo anche la scuola e il contesto sociale-comunitario di appartenenza, spezzando le condizioni di isolamento in cui spesso le famiglie vivono, non necessariamente parte una segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Avviene solo quando i genitori non hanno acquisito consapevolezza né mostrato collaborazione». A questo punto «la Procura chiede un’indagine sommaria ai servizi sociali per verificare le condizioni di vita dei minori e la qualità della relazione genitoriale; se rileva che ci sia una situazione di pregiudizio per i figli, ricorre al Tribunale per i minorenni».

A sua volta, il Tribunale «chiede un’indagine più approfondita ai servizi per comprendere la situazione familiare e che tipo di risposta hanno dato i genitori alle proposte dei servizi sociali, verificando la situazione di benessere fisico-psichico e sociale dei bambini, invitando a continuare il percorso di accompagnamento e supporto della famiglia». Si fissa quindi un’udienza presso il Tribunale: «I genitori vengono sentiti dal giudice sulle loro scelte, sul rapporto con i figli (sempre ascoltati dopo i 12 anni ma anche prima, se lo si ritiene necessario e opportuno, senza creare loro disagio e difficoltà)». Da questa istruttoria emerge «un’indagine psicosociale o sociofamiliare con una solida base di oggettività, non di opinioni personali o interpretazioni del singolo professionista o del giudice».

Dopo questo complesso itinerario, «il Tribunale emette un provvedimento a protezione, tutela/cura dei minori e a sostegno/aiuto dei genitori. AI servizi sociali è richiesto di individuare un progetto personalizzato per raggiungere un equilibrio sufficientemente buono per i bambini: non cerchiamo genitori perfetti. Inoltre le decisioni del Tribunale sono collegiali, prese in camera di consiglio da 2 magistrati togati e 2 giudici onorari nominati per le loro competenze specifiche: assistenti sociali, psicologi, avvocati, pediatri, pedagogisti…». Solo in alcuni casi «si arriva alla messa in protezione attraverso l’accoglienza in un contesto di comunità mamma-bambino, familiare, educativa, o altra famiglia. Il primo decreto è sempre provvisorio, si può modificare e stabilizzare, con una grande attenzione da parte del Tribunale a lavorare per la riunificazione familiare: si cerca di preservare il legame fra genitori e bambini attraverso incontri, talvolta in uno spazio protetto e osservato da professionisti specializzati. Lavoriamo per dare al bambino la possibilità di crescere nella propria famiglia. Se ci sono problemi, avviene una separazione temporanea ma – si auspica – non definitiva».