PHOTO
Un edificio di Kyiv distrutto dal raid russo nella notte tra il 24 e il 25 novembre.
Nel silenzio del cimitero del suo paese, non lontano da Kyiv, Olena, 42 anni, cammina lentamente davanti alle tombe dei soldati caduti in guerra. Si ferma e indica la fotografia di un giovane sorridente: lo conosceva, racconta. «Aveva poco più di vent’anni quando, nel 2022, ha deciso di arruolarsi volontario, dopo che il suo migliore amico, entrato nell’esercito nei primi giorni dell’invasione russa, è morto al fronte». Olena è insegnante di arte teatrale in una scuola primaria e ai bambini insegna anche come imparare a gestire le emozioni negative, l’ansia in tempo di guerra. Lei e suo marito hanno quattro figli, tre ragazze e un ragazzo. «Mio figlio ha 15 anni, ma è molto più adulto della sua età. Dice sempre che quando avrà 18 anni si arruolerà nell’esercito come volontario, perché vuole proteggere la sua famiglia», racconta con un filo di voce. Di fronte a chi cerca di rassicurarla osservando che, fra tre anni, probabilmente in Ucraina non ci sarà più bisogno di arruolarsi e andare a combattere contro i russi, Olena resta in silenzio e sospira, pensando a come sarà il suo Paese fra qualche anno, a cosa accadrà nel prossimo futuro, a quale destino attende suo figlio, la sua famiglia. In Ucraina sono in tanti, oggi, a vivere con un senso profondo di incertezza e, ancora di più, di disillusione davanti ai tentativi della diplomazia internazionale di arrivare a un negoziato di pace.
In questi giorni concitati, carichi di aspettative, in cui si discute del piano di pace presentato da Washington, Dmytro, 35enne musicista, dalla sua casa di Kyiv senza elettricità a causa del blackout reagisce quasi spazientito a chi gli chiede cosa pensa delle condizioni poste dal piano Usa per arrivare alla fine della guerra. «Non voglio neppure commentare, sono le solite storie», taglia corto. Non si fida più degli Stati Uniti, dice, e soprattutto non si fida delle reali intenzioni di Mosca, come del resto buona parte dei suoi concittadini.
Le notizie di oggi riportano che Kyiv approva il piano in 19 punti – non più i 28 del piano originario – definito con gli Usa nel corso dei colloqui a Ginevra fra Stati Uniti da un lato e Ucraina con i leader europei dall’altro. Il presidente Zelensky si dichiara disponibile ad andare a Washington il prima possibile per accettare l’accordo. Trump afferma che un’intesa è molto vicina, ma senza sbilanciarsi troppo. I nodi da sciogliere non sono pochi: la questione dei territori, la capacità dell’esercito ucraino, la possibilità per Kyiv di entrare nella Nato e le garanzie di sicurezza. Mosca, dal canto suo, frena, si dice non soddisfatta del piano, vuole che tutte le sue richieste siano accettate. E a complicare la situazione, ora, è anche la trascrizione di una telefonata – pubblicata da Bloomberg – dell’inviato speciale Usa Steve Witkoff che dà consigli a Iuri Ushakov, consigliere diplomatico di Putin, su come comportarsi con Trump e suggerisce un piano di pace sul modello della Striscia di Gaza che preveda il Donetsk ceduto a Mosca e uno scambio di territori. La fuga di notizie ha fatto infuriare Mosca, che ha parlato di sabotaggio per far naufragare il negoziato.
Intanto, Mosca non allenta la pressione bellica sull’Ucraina, l’offensiva russa va avanti, implacabile, senza tregua. Kyiv è stata di nuovo bersaglio di un esteso, violento attacco con missili e droni che ha colpito edifici residenziali e ucciso sette persone nella notte tra il 24 e il 25 novembre. I raid hanno provocato in alcune zone il blackout della corrente elettrica e della fornitura di acqua. Le autorità cittadine hanno avvertito gli abitanti di restare nei rifugi, tantissimi sono tornati a cercare riparo nella metropolitana. Il terrore è piombato ancora una volta sulla capitale.
Di fronte al panico e al disorientamento dei cittadini, sono risuonate con forza e commozione le parole del vescovo romano-cattolico della diocesi di Kyiv-Zhytomyr, monsignor Vitalii Kryvytskyi. Una riflessione affidata ai social colma di dolore, che però lancia anche un invito alla speranza, alla resistenza, all’unità e alla solidarietà. «Un’altra notte tragica nella capitale. Piangiamo i defunti, preghiamo per loro e per i loro cari in lutto», scrive il vescovo. «Mi è tornato in mente un pensiero: i bambini che piangono sul pavimento di granito delle nostre stazioni della metropolitana, i loro genitori. I figli ricorderanno i russi come noi abbiamo ricordato gli invasori tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale. Ma allo stesso tempo questi bambini, insieme ai loro genitori, stanno diventando sempre più forti, perché la guerra ci tempra. In notti così inquietanti preghiamo con ancora più fervore. Abbiamo imparato a lavorare nonostante la stanchezza e le circostanze che ci logorano. Questa maledetta guerra spezza qualcuno, ma rende altri più forti e lungimiranti, anche in un orizzonte che va oltre i confini della vita terrena». Monsignor Kryvytskyi conclude lanciando un appello: «Abbiamo vissuto l'ennesima notte insonne. L'abbiamo vissuta insieme e ora la stiamo superando insieme. È qui che si manifesta la forza dell'unità, un dono di Dio che a volte perdiamo nella frenesia della vita quotidiana. Non perdiamola ora, nel momento in cui ne abbiamo più bisogno».





