di Ivano Zoppi

Dopo Cina, India, Albania e Indonesia, anche l’Australia ha imposto nuove restrizioni ai social network. Canberra ha stabilito per legge il divieto ai social per i cittadini minori di 16 anni. Almeno nella terra dei canguri, l’urgenza di proteggere i minori dai pericoli online è più importante della libertà che accompagna da sempre l’accesso alle piattaforme digitali. Una notizia inimmaginabile fino a poco tempo fa, per un Paese-Continente dall’altra parte del globo, ma tanto prossimo in ambito culturale alle nazioni occidentali. Non mancano reazioni e commenti, tutti con il senno del poi, anzi, del “post”. Divieti, accuse e giubilo da più fronti, a fronte dell’auspicato giro di vite rispetto ad una dimensione digitale per troppo tempo vissuta da intere generazioni senza limiti e, per molti, regole. Di certo senza il necessario accompagnamento, non solo normativo, ma anche educativo, da parte delle istituzioni, a partire dalle famiglie. Il controllo non è solo utile, ma necessario. Tuttavia la misura australiana rischia di produrre non pochi effetti collaterali. Un po’ come un rimedio troppo drastico per curare una malattia alla radice, ma senza garanzia di successo.

Il problema non è tanto nel merito e neppure nel metodo, fatto salvo l’indicazione dei 16 anni compiuti quale età minima di ingresso nei social, ovvero tre anni più tardi delle policy indicate dalle piattaforme e comunque più alta del limite in discussione presso l’Unione europea. È una questione di tempistica. I giovani australiani under 16, almeno 5 milioni su 27 secondo le ultime stime, di colpo si vedranno preclusi da un ambiente, seppur “virtuale”, che hanno sempre frequentato, per diverse ore al giorno. Tutto nello stesso Paese che ha lanciato il primo Vertical film festival, per tentare di riportare le nuove generazioni nei cinema. Ebbene, dove andranno questi ragazzi quando connessi ad internet? Le alternative non mancano, tanto che i legislatori sono già al lavoro per monitorare i “nuovi social”, che stanno scalando le classifiche negli App Store nel mercato australiano. Piattaforme prodotte paradossalmente da quei Paesi dove i social sono banditi (in patria), ma a disposizione del mercato globale. Canali e servizi digitali dove il filtro dei contenuti lesivi, violenti o illegali è assai più lasco, se non assente. rispetto alle App che abbiamo tutti nel telefonino. Meta, Google e TikTok - praticamente il 90% del traffico online degli utenti - in questi anni hanno prodotto notevoli sforzi a tutela dei minori, nella chiusura dei profili tossici o illegali e a garanzia di privacy e sicurezza. Un cambio di passo che, in Italia, ha coinvolto anche Fondazione Carolina, indicata come referente ufficiale per la segnalazione e le richieste di rimozione di contenuti. Cosa che non sarebbe possibile con altre piattaforme, ma il problema non è soltanto di sicurezza.

Tornando all’Australia, infatti, molti genitori stanno addirittura avallando l’aggiramento della norma attraverso l’utilizzo di sistemi informativi (VPN) che simulano la connessione da altri Paesi. Il regalo di Natale più richiesto in Australia quest’anno sarà l’apertura di un profilo adulto sui social network, grazie ai dati forniti dalle mamme e dai papà. O persino dai nonni, pronti a tutto pur di fare contenti i nipotini. Ciò nonostante, il mondo guarda all’Oceania come grande laboratorio sociale, prima ancora che “social”. Dalla Danimarca alla Malesia, sono tanti gli Stati pronti ad emulare la decisione del Governo australiano.

Più che a un semplice copia-incolla, il consiglio di Fondazione è quello di ripensare ai modelli educativi, assai più efficaci dei divieti. Rispetto all’Italia, escludere un 14enne dai social è semplicemente irrealistico, quando in Italia si viaggia online in autonomia dalla prima infanzia! Da circa 20 anni abbiamo ascoltato la stessa litania: Internet è partecipazione, libertà e condivisione. Una terra promessa, dove tutto è possibile, tranne che tornare indietro. L’unica legge del web, in fondo, è proprio questa: su internet nulla si cancella davvero, tanto meno i nostri errori. E allora, invece di guardare indietro, l’invito è quello di fare un passo avanti. Forse un primo passo, ma importante, senza aspettare e che sia una legge a doverci obbligare a pensare ai nostri figli. Prima ancora di vietare dobbiamo tornare a educare. Educare al rispetto, alle emozioni, al buonsenso e all’empatia. Cosa c’entra questo con il web, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale? Tutto! Perché prima di un utente, un account o un follower, restiamo sempre esseri umani.