Antefatto: la legge Severino, in vigore dalla fine del 2012, stabilisce che un amministratore pubblico, se condannato anche in primo grado per reati della pubblica amministrazione (corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato) possa essere sospeso dall’incarico, su richiesta del ministero dell’Interno, per un periodo minimo di 18 mesi. Rimane candidabile, se la condanna precede la candidatura, ma se eletto può decadere.

Mentre per la legge anticorruzione un membro del Parlamento, se condannato, stavolta con sentenza definitiva, per sei anni diviene incandidabile. A seguito di questa legge molti amministratori sono stati sospesi o sono decaduti, ma la legge ha innescato parecchi ricorsi (al Tar, ai giudici ordinari, alla Corte costituzionale) per ragioni diverse.

Tra queste la diversità di trattamento tra amministratori e parlamentari: i primi possono essere sospesi anche per una condanna in primo grado, i secondi decadono dopo la condanna definitiva avvenuta in corso di mandato. Poi la “retroattività”, dato che la sospensione prevista dalla legge Severino può essere applicata anche persone che sono state elette prima che la legge entrasse in vigore e per condotte commesse prima che l’elezione avvenisse (Il caso di De Magistris). L’eccesso di delega, dato che alcuni, tra cui i legali di De Luca, contestano il fatto che la legge Severino sia andata oltre il mandato dato dal Parlamento al Governo Monti.

Questioni, le ultime due, portate al vaglio della Corte costituzionale rispettivamente dal caso del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e da quello del presidente della Regione Campani Vincenzo De Luca. La Corte costizionale  ha risposto dichiarando infondato il ricorso di De Magistris, sospeso e reintegrato nell’attesa dal Tar, verificando dunque che su quel punto la legge è perfettamente compatibile con la Costituzione: in attesa di motivazioni se ne deduce che la sospensione è una misura cautelare non una sanzione penale. In altri termini non nasce per infliggere una pena aggiuntiva a chi la riceve ma per tutelare, in via preventiva, le istituzioni dal rischio di essere affidate a un amministratore non adatto. E per tanto non confligge con il principio di non retroattività della legge penale (nessuno può essere condannato in virtù di una legge che non esisteva quando ha commesso il fatto).

  Sul ricorso di De Luca la Corte deve ancora pronunciarsi, ma è probabile che la decisione della Consulta non plachi come ci si attenderebbe le polemiche sulla legge Severino.Se non altro per il fatto che, risolte (quasi) le questioni giuridiche, restano aperte quelle politiche e d’immagine: prima tra tutte quella di una classe dirigente che prima scrive le leggi (per darsi una patente di legalità e trasparenza) e poi cerca di disapplicarle ricorrendo a tutti i tribunali possibili e immaginabili. E dopo ancora, magari, accusa le Corti di sconfinare in terreni della politica.

Nel frattempo, neanche 24 ore dopo la decisione della Consulta, la Corte d'Appello di Roma ha assolto in appello De Magistris dall'accusa di abuso d'ufficio per una condotta tenuta nella sua precedente attività di magistrato nel corso dell'inchiesta nota come Why not. In primo grado era stato condannato lo scorso anno e per questo era stato sospeso da sindaco di Napoli. La riforma della sentenza fa sì che, nel suo caso personale, la decisione della consulta  non avrà effetti, essendo venuta meno la ragione della sospensione. Li avrà invece sugli altri casi simili al suo che di qui in avanti si presenteranno. Almeno finché non avranno, come come il caso di De Magistris, una soluzione giudiziaria nel merito.