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Un quadro difficile, ma non privo di speranza. Papa Leone apre l’anno pastorale della diocesi di Roma quella che, come ha sottolineato il cardinal vicario Baldo Reina, «presiede nella carità tutte le altre». E lo fa chiedendo di continuare a essere «laboratorio sinodale». Accogliendo il Pontefice il cardinale Reina, guardando sia al contesto mondiale che a quello cittadino, aveva ricordato che «ci sentiamo sgomenti non solo per i tanti scenari di guerra che insanguinano il nostro mondo ma anche per le tante situazioni di sofferenza di Roma. Crescono le disuguaglianze, aumenta la povertà assoluta delle famiglie, le periferie a volte sono invivibili a motivo di una criminalità che controlla capillarmente il territorio; mancano le case per i giovani e per le persone che non hanno molta disponibilità economica, cresce il disagio mentale e anche l'accesso alle cure per poveri e anziani sta diventando un problema serio». DI fronte a questo scenario, però, «sentiamo ancora la risposta indicata dal Maestro ai discepoli che chiedevano di mandare via le folle affamate e stanche: “Date loro voi stessi da mangiare'” Abbiamo il dovere di mettere in pratica questo comando e vogliamo farlo come Chiesa che presiede nella carità, ed è chiamata ad essere esemplare non solo nell'ascolto ma anche nella ricerca di sentieri evangelici capaci di spezzare la solitudine, e che diano speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo».
Leone dal canto suo, nella meditazione pronunciata in una basilica, quella di San Giovanni in Laterano, stracolma di gente, ha spronato parroci e vescovi aggiungendo che «tocca a noi metterci all'opera affinché la Chiesa che vive a Roma diventi laboratorio di sinodalità, capace, con la grazia di Dio, di realizzare “fatti di Vangelo”, in un contesto ecclesiale dove non mancano le fatiche, specialmente in ordine alla trasmissione della fede, e in una città che ha bisogno di profezia, segnata com'è da numerose e crescenti povertà economiche ed esistenziali, con i giovani spesso disorientati e le famiglie spesso appesantite». La Chiesa di Roma, dunque, deve essere «sinodale e in missione», capace di «abilitarsi a uno stile che valorizzi i doni di ciascuno e che comprenda la funzione di guida come un esercizio pacificante e armonioso, affinché, nella comunione suscitata dallo Spirito, il dialogo e la relazione ci aiutino a vincere le numerose spinte alla contrapposizione o all'isolamento difensivo».
Sul solco di papa Francesco ha ribadito che serve «una pastorale solidale, empatica, discreta, non giudicante». Una pastorale che riesca ad «accogliere tutti, e proporre percorsi il più possibile personalizzati, adatti alle diverse situazioni di vita dei destinatari». Per il Pontefice è «urgente sperimentare, se necessario, strumenti e linguaggi nuovi, coinvolgendo nel cammino le famiglie e cercando di superare un'impostazione scolastica della catechesi». Perché oggi «le famiglie faticano a trasmettere la fede e potrebbero essere tentate di sottrarsi a tale compito». Come pastori, allora, si è chiamati ad «affiancarci senza sostituirci a esse, facendoci compagni di cammino e offrendo strumenti per la ricerca di Dio». Serve una pastorale «che non ripete le cose di sempre, ma offre un nuovo apprendistato; una pastorale che diventa come una scuola capace di introdurre alla vita cristiana, di accompagnare le fasi della vita, di tessere relazioni umane significative e, così, di incidere anche nel tessuto sociale specialmente a servizio dei più poveri e dei più deboli».



