Fra pochi giorni – precisamente giovedì 27 novembre – inizia il viaggio di papa Leone alla volta di Nicea. Un nome (oggi si chiama Iznik) che ai più dice poco, ma è carico di memoria per il cristianesimo: è stata infatti sede del primo concilio ecumenico, nel lontano 325, esattamente 1.700 anni fa. Giunge opportuna e puntuale – anzi in anticipo di qualche giorno – una Lettera apostolica firmata da papa Leone XIV intitolata In unitate fidei. Nel 1700° anniversario del Concilio di Nicea.

Si tratta di un documento abbastanza breve, in 12 punti, ma corposo e denso di riflessioni sul significato storico, teologico, spirituale ed ecumenico del “Simbolo di fede” che ogni domenica i cristiani di ogni denominazione – cattolici, protestanti, ortodossi – recitano ogni domenica durante la Messa. (Vedi sul sito la pagina di sintesi) Alcune sottolineature aiuteranno ad apprezzarne il valore e a riflettere sulla sostanza della nostra fede trinitaria, al cui cuore sta la confessione della figliolanza divina di Gesù Cristo.

Innanzitutto, papa Leone spiega – brevemente, ma la narrazione è importante – le lotte del periodo storico in cui il Credo di Nicea prese forma: le persecuzioni appena terminate, la dottrina di Ario su Cristo e le controversie che ne nascono e i loro protagonisti. Sono cenni importanti, che ci ricordano che la fede confessata non nasce a tavolino, ma prende forme nel crogiuolo di circostanze storiche che impegnano le persone, anche nella sofferenza. Il vescovo Atanasio, il grande “campione” della fede formulata a Nicea, patì l’esilio dalla cattedra di Alessandria ben cinque volte proprio per la sua difesa della fede.

Un secondo punta degno di nota è che il Credo di Nicea non rappresenta affatto una “ellenizzazione” della fede cristiana, con conseguente allontanamento dalle formulazioni del Nuovo Testamento, un’accusa ricorrente. È vero che si utilizzano alcune categorie prese a prestito dalla filosofia greca (il famoso homoousios, “della stessa sostanza”), ma la loro funzione è di esplicitare quanto affermato dal Nuovo Testamento su Cristo, dunque in fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione (n. 5). Si trattava di «definire il corretto significato della fede in Gesù come “il Figlio di Dio”», cuore della confessione di fede nicena. A ellenizzare invece la fede cristiana era proprio Ario, le cui tesi erano in linea con la mentalità (filosofica) diffusa all’epoca. Papa Leone si sofferma lungamente su questo “realismo dell’incarnazione” e sul legame della professione di fede nicena con la storia di salvezza tra Dio e le sue creature, sottolineando la caratteristica distintiva del Dio cristiano: «La sua immensità si manifesta nel fatto che si fa piccolo, si spoglia della sua maestà infinita rendendosi nostro prossimo nei piccoli e nei poveri».

Interessante è anche che il documento ricordi il sensus fidei del popolo di Dio, che intuì dove stava la verità. Sant’Ilario di Poitiers, testimone delle lotte di Nicea, ricorda l’ortodossia dei laici, mentre molti vescovi erano ariani, e riconosce che «le orecchie del popolo sono più sante dei cuori dei sacerdoti».

Il Pontefice ricorda poi che la liturgia e la vita cristiana sono saldamente ancorate al Credo di Nicea (e di Costantinopoli): dal semplice segno della croce (“Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”) al “Gloria al Padre….” che conclude i Salmi nella Liturgia delle Ore. Però chiede ai credenti come questi passi dalla bocca al cuore, alla vita. Con una serie di domande, il Papa chiede di riflettere sulla «recezione interiore” del Credo, su ciò che significa ciò che diciamo per la nostra vita». Il Concilio di Nicea «ci invita allora a un esame di coscienza» sulla questione di Dio, che per molti oggi non ha più rilevanza, ricordando anche la responsabilità dei cristiani se «la questione Dio non ha quasi più significato nella vita di molti» (n. 10). Più avanti ricorda che «possiamo testimoniare la misericordia di Dio alle persone che dubitano di Lui solo quando esse sperimentano la sua misericordia attraverso di noi». Insomma, le parole della fede impegnano la vita, passando per la sequela concreta di Cristo.

Infine papa Leone ricorda come il Credo di Nicea rappresenti un potente «vincolo di unità tra Oriente e Occidente»: si tratta della «professione di fede comune di tutte le tradizioni cristiane», tra ortodossi, cattolici e protestanti. Un dato che non si può sottovalutare e che viene prima di ogni differenza e divisione. Condividiamo con i cristiani di altre confessioni un patrimonio di fede riconosciuto come vincolante e ricco di contenuto. Dal Credo trinitario Leone XIV trae conseguenze anche per come concepire l’ecumenismo del futuro: esso «ci propone, infatti, un modello di vera unità nella legittima diversità. Unità nella Trinità, Trinità nell’unità, perché l’unità senza molteplicità è tirannia, la molteplicità senza unità è disgregazione». La «dinamica trinitaria non è escludente (aut-aut) ma «legame coinvolgente, un et-et». Parole di grande peso per pensare quale modello di unità e riconciliazione sia possibile tra tutti i cristiani. La sfida dell’unità, oltre che teologica, è spirituale: «chiede pentimento conversione da parte di tutti».

Insomma, un documento breve ma denso, che invita tutti a prendere consapevolezza e ad approfondire quanto recitiamo ogni domenica come una formula, che invece è sostanza della nostra fede e del nostro vivere da cristiani.