L’obesità è una malattia. Progressiva, recidivante, sociale. Non più solo per medici e pazienti, ma ora anche per lo Stato. L’Italia, primo Paese al mondo, ha approvato una legge che riconosce l’obesità come una vera e propria patologia, passo indispensabile per rendere le cure più accessibili, a carico del Servizio sanitario nazionale.

«È un grande risultato, una presa di posizione forte, di cui l’Italia deve essere orgogliosa», commenta Annamaria Colao, vicepresidente del Consiglio superiore di sanità, direttrice del Dipartimento assistenziale di Endocrinologia, diabetologia, andrologia e nutrizione presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli. «Da tempo si sentiva la necessità di una normativa che riconoscesse l’obesità per quello che è, non più una “condizione” – come era definita fino al 2019 – non solo una malattia cronica, ma una patologia che necessita di codici ad hoc, prevedendo la presa in carico dei pazienti da parte della sanità pubblica, con accesso gratuito alle terapie».

Una pandemia in crescita

Il Parlamento quindi ha detto sì al disegno di legge n. 1483, promosso da Roberto Pella, capogruppo in Commissione Bilancio alla Camera per Forza Italia, presidente dell’Intergruppo Parlamentare “Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili” e primo firmatario della legge, che ha dichiarato: «L’obesità rappresenta una emergenza globale, che interessa fortemente anche il nostro Paese. Averla riconosciuta oggi, grazie al voto dell’Aula del Senato, come una vera e propria malattia testimonia la volontà piena di affrontarla come una priorità nazionale».

E i numeri lo confermano. Il popolo degli obesi è in aumento, non solo negli Stati Uniti, ma nel mondo intero, Italia compresa, tanto che gli esperti ormai parlano di pandemia: il 12% della popolazione adulta, circa 6 milioni di persone, cui si aggiunge un 40% di individui in sovrappeso.

Cure più accessibili

Un problema non solo clinico, ma anche socioeconomico. «L’obesità è da sempre una malattia che coinvolge le classi meno abbienti», prosegue Annamaria Colao, «persone che mangiano male, conducono uno stile di vita scorretto, non fanno attività fisica, non hanno i mezzi per accedere alle terapie, troppo costose. La nuova legge è rilevante anche da questo punto di vista: ci darà la possibilità di curare chi è più in difficoltà, dando sollievo a chi non ha risorse sufficienti per poter stare meglio».

La normativa infatti garantisce l’accesso alle cure nell’ambito dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), stabilendo che le persone con obesità abbiano diritto alla presa in carico da parte del Servizio sanitario nazionale, sulla base di percorsi diagnostico-terapeutici, sia per gli adulti sia per i bambini.

I farmaci anti-obesità, i cosiddetti “analoghi del GLP-1” – che imitano l’azione dell’ormone della sazietà, riducendo il senso di fame e rallentando lo svuotamento gastrico – rappresentano una vera rivoluzione nella lotta all’obesità: i costi, però, sono altissimi. «Da ricercatrice posso dire che grazie a queste nuove molecole abbiamo la possibilità di vincere la battaglia contro l’obesità», dichiara l’endocrinologa, «ma da medico ho sempre trovato poco etico il fatto che molti malati non potessero permettersi tali farmaci per via dei costi proibitivi. Serviva quindi un quadro normativo che gettasse le basi per superare questo ostacolo e garantire al più presto a tutti i pazienti le cure che hanno diritto di ricevere».

Dalla parte dei pazienti

La legge affronta anche il tema dell’inclusione, incoraggiando l’inserimento delle persone con obesità in molti contesti sociali, per abbattere pregiudizi e discriminazioni.

Quello con obesità, infatti, non è un paziente come gli altri. Viene spesso ridicolizzato, isolato, non ascoltato, colpevolizzato. «Per troppo tempo questa malattia è stata banalizzata e stigmatizzata», dice la vicepresidente del Consiglio superiore di sanità, «e troppo a lungo i pazienti sono stati trattati come gli unici responsabili della loro condizione clinica, cosa che non avviene per nessun’altra patologia. Non è accettabile».

Un Osservatorio dedicato

Nasce anche l’Osservatorio per lo studio dell’obesità (OSO), istituito presso il Ministero della Salute, con il compito di raccogliere dati epidemiologici, monitorare gli stili di vita degli italiani e studiare la diffusione della malattia, relazionando ogni anno alle Camere.

I fondi ancora non bastano

Parliamo di soldi. La nuova legge autorizza, per il finanziamento di un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità la spesa di 700 mila euro per il 2025, di 800 mila euro per il 2026 e di 1,2 milioni di euro annui a partire dal 2027. Vengono stanziati anche 400.000 euro annui, a partire dal 2025, per attività di formazione e aggiornamento. Infine è previsto uno stanziamento di 100 mila euro annui destinato a campagne di informazione ed educazione alimentare e promozione dell’attività fisica, punti chiave della prevenzione e della cura dell’obesità.

Sarà sufficiente? «Le risorse disponibili non bastano ancora», risponde Annamaria Colao, «ma non era possibile avere già al primo step tutti i fondi necessari ad affrontare un fenomeno pandemico come questo. È del tutto realistico che si proceda per gradi, per riuscire al più presto a trattare i pazienti con severa obesità e tante comorbilità (la coesistenza di più patologie nello stesso soggetto) a carico del Servizio sanitario nazionale. Dal punto di vista clinico è un primo passo importante».

Un punto di partenza
«Con questa legge si rafforza l’impegno nel contrasto all’obesità puntando in modo determinante sulla prevenzione così come sulla formazione specifica per il personale sanitario. È una risposta importante e concreta per la tutela della salute dei cittadini», ha dichiarato il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha definito il provvedimento “un atto di civiltà”. Un traguardo che va considerato al tempo stesso un punto di partenza. «Per tutti coloro che lavorano in ambito sanitario si è aperta una serie di grandi opportunità», conclude Annamaria Colao. «Questa legge favorirà non solo una equa diffusione delle cure, ma anche la creazione di centri di riferimento e la partecipazione a registri nazionali, che ci permetterà di avere a disposizione dei dati su cui fare elaborazioni scientifiche importanti».