A Roma da tre anni la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas e Migrantes hanno organizzato, con l’aiuto del cardinale vicario, un corso di sartoria per alcune donne rom. La decisione nasceva con uno scopo chiaro: aiutare quelle che gli esperti definiscono vittime di discriminazione multipla e noi riteniamo “le più deboli tra le escluse”. Il corso è andato molto bene. Ha raccolto donne molto diverse tra loro, per provenienza, religione ed età ed è stato un momento di confronto e soprattutto di formazione importante.
Al termine di questi anni siamo arrivati con le prime tre partecipanti a trasformare la formazione in ricerca di lavoro. Ieri è accaduto qualcosa di particolarmente significativo nel percorso di questo progetto. E anche di illuminante per comprendere il rapporto tra i rom e “noi”. Nei giorni scorsi, infatti, una delle partecipanti, tra le migliori, è stata accompagnata a fare un colloquio di lavoro (le donne rom hanno sempre bisogno di essere “presentate”). Avevamo dalla nostra un punto di forza: abbiamo trovato fondi perché l’inserimento potesse arrivare con una borsa lavoro. Cioè, chi assume non deve sborsare un soldo pur godendo del lavoro. Il colloquio è andato bene, la donna ha fatto una buona impressione e pur non sapendo usare macchine industriali, ha mostrato abilità sufficienti.
Poi, però, è giunta una telefonata: con grande imbarazzo il responsabile del negozio ci ha spiegato che non voleva assumere quella donna. Nonostante lunghi giri di parole, il problema di fondo era semplicemente uno: è una “zingara”. Messo in imbarazzo dalle nostre risposte, il titolare ha anche affermato, a un certo punto: «Peraltro, credo non sia stato corretto che, al telefono prima del colloquio, non mi abbiate detto che lei era rom». L’interlocutore ha risposto secco: allora se un ebreo fa un colloquio di lavoro lei ritiene che debba riferirle prima di presentarsi di appartenere a quella confessione religiosa? «No, ma che c’entra, lei non è ebrea…», è stata la risposta imbarazzata. Ho cercato il sito dell’impresa: alla voce “Chi siamo” si legge anche, «forte sensibilità per il sociale».

D’accordo, nell’immaginario collettivo sono tutti ladri, sporchi, violenti; ma lei no, sicuramente no: che c’entra? Mi domando: se non trova lavoro una donna rom regolare, che si presenta bene, è formata, che non ha costi per il datore di lavoro, chi mai potrà trovare lavoro? Solo le poche che continueranno (e riusciranno) a nascondere la propria appartenenza o quelle impiegate “nell’economia del ghetto” (cioè nei progetti che ruotano intorno ai rom)? Da anni ho molti rom per amici, e quindi non sono nuovo a certe cose.
Ma la sconfitta di ieri è particolarmente bruciante. Come quando con fatica riusciamo a iscrivere bambini rom a scuola e vediamo genitori “autoctoni” lamentarsi. Ma come: non devono mandare a scuola i loro figli? Poi accendo il computer e vedo che il governatore della Toscana Enrico Rossi è ricoperto di insulti sui social perché ha osato pubblicare una foto sua insieme con dei rom, definendoli suoi amici e suoi vicini di casa. Poi leggo che un ex ministro definisce i rom «ladri per natura», esattamente come i “medici” nazisti. Torno a casa e nel mettere a letto le mie figlie penso a come costruire un mondo migliore per loro. Da giorni, ogni volta che accendiamo la Tv, vedono definire gli “zingari” come ladri di bambini e causa di ogni male delle nostra città. Niente di strano si potrebbe pensare. Ma non per loro, perché hanno una “tata” rom da quando sono nate. «Perché papà?».
PAOLO CIANI - Comunità di Sant’Egidio

Anche gli zingari, come gli immigrati, sono una “scomodità” e pongono non pochi problemi nei quartieri e nelle città in cui vivono o sono “accampati”. Non aiuta, però, a inserirli nella comunità civile, l’ondata di odio e pregiudizi che, da sempre, si riversa nei loro confronti. Ancor più in tempi di crisi e di disagi sociali, quando si scarica sugli zingari tutto il malessere del Paese. Sono il “capro espiatorio” della rabbia e della violenza che si sono accumulate in tante periferie cittadine, abbandonate a sé stesse, dove le istituzioni latitano da sempre. Una guerra tra poveri, che allarga il fossato dell’esclusione. A peggiorare la situazione c’è, poi, l’irresponsabilità di quei mass media che alimentano paure, pregiudizi e luoghi comuni. E rafforzano la convinzione che ogni zingaro è, “per sua natura”, un ladro. Come abbiamo denunciato nella campagna contro ogni forma di discriminazione e razzismo che, assieme ad Avvenire e ai settimanali diocesani, abbiamo lanciato nel mese scorso. Organizzare assalti ai campi nomadi, prendendo a pretesto false notizie di stupri o violenza, o impedire ai bimbi rom l’acceso a scuola non è da Paese civile. E, certamente, non favorisce una pacifica convivenza. E se anche la politica specula sulla loro pelle per qualche consenso elettorale in più, vuol dire che il Paese ha smarrito l’anima. E baratta i valori con i voti.