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Da bambina, mio padre a volte mi picchiava (e picchiava anche mia madre, che non si difendeva…). Dentro di me lo chiamavo “l’orco”. Una volta glielo dissi in faccia! Poi – avevo vent’anni – l’orco morì di cancro ai polmoni. Non ho mai visto un uomo soffrire così… Ma pensavo che se lo meritasse… Ora che sono madre, mi sento in colpa, un mostro senza pietà…
L.
Cara Luigia, ora è il tempo della “custodia”, cara ex bambina e ora madre. Devi custodire una bambina picchiata, aggredita con violenza (come mi racconti nella tua lunga lettera) e non difesa da una madre che a sua volta subiva, anche più della bambina. E insieme devi custodire una giovane donna che vede morire il padre con dolori strazianti (che non voleva essere “servito” – come diceva lui – dalle donne di casa, e così rimaneva solo con il suo male implacabile) e si ritrova piena di rabbia distruttiva.
Custodire questi due estremi, cara ex bambina ora madre, è un’opera curativa, generosa, vera. Un’equazione che suona: l’orco si è meritato una morte così, sarebbe troppo facile e meschina. Custodire il padre violento di un tempo e la sua morte atroce e solitaria vuol dire andare oltre, fare un passo nuovo rispetto a una giustizia sommaria e vendicativa. Tu sei molto di più di questo giustizialismo e ora che sei madre puoi ospitare nel cuore il dolore di tuo padre e perfino la tua incapacità di allora di aiutarlo. Puoi dirgli nel tuo cuore: “Mi spiace, papà; allora non ero ancora pronta al perdono che rinnova i cuori. Ora posso perdonare te e me stessa”. I nostri morti ascoltano, lo sai. E la Posta del cuore ti ringrazia di questa nuova “custodia”.



