Dopo due anni di simbolico vuoto, il primo albero di Natale nella Piazza della Natività a Betlemme è ancora a metà, ma la gente lo ammira già come fosse completo. A ridosso del primo Natale dopo i due anni di incessanti bombardamenti su Gaza, l’immagine di questo albero ancora mozzato ci ricorda che la pace promessa non è ancora arrivata. Il cessate-il-fuoco ha, infatti, congelato una situazione di profonda ingiustizia. E in Cisgiordania, i cristiani palestinesi vivono questa realtà non come un ritorno alla normalità, ma come una lotta quotidiana per la loro stessa esistenza.

Issa, 34 anni, cattolico palestinese nato e cresciuto a Betlemme, è l’immagine di una fede radicata e resiliente. Lavora per una Ong italiana e vive qui con sua moglie, Tamara, e il loro figlio di due anni, Joseph, nato solo due settimane dopo quel tragico 7 ottobre 2023. Per lui, abitare a Betlemme è una «grande benedizione» che lo pone fisicamente sulle strade percorse da Gesù. Ma questa benedizione porta il peso dell’occupazione militare israeliana, che nega i diritti umani fondamentali a tutti i palestinesi, che siano cristiani o musulmani. Issa ha scelto di tornare a Betlemme dopo un Master in Italia, perché aveva una missione: «La presenza cristiana come percentuale è diminuita tantissimo negli ultimi anni. Tra Palestina e Israele siamo meno dell’1% della popolazione. Potrebbe presto arrivare il momento in cui il cristianesimo non sarà più praticato proprio nel luogo in cui è nato. Con il rischio che i nostri luoghi santi diventino musei, non più dei luoghi vivi di fede. Per questo ho scelto di tornare, per mantenere in vita le pietre di questa terra». […]

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